Con l'ordinanza n. 20842 dello scorso 15 maggio, la IV sezione penale della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di ammissione al gratuito patrocinio, ha fornito importanti precisazioni in relazione ai redditi rilevanti ai fini dell'ammissione al beneficio, ribadendo come nella determinazione del reddito complessivo rilevante ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non può tenersi conto del reddito prodotto dal familiare convivente quando quest'ultimo è persona offesa del reato per il quale si procede .
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla decisione di un padre di denunciare il figlio, in relazione a taluni illeciti penali che vedevano lo stesso denunciante quale persona offesa. A seguito della denuncia si instaurava un procedimento penale, sicché l'imputato chiedeva di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
La sua istanza veniva accolta, ma successivamente lo stesso Magistrato di sorveglianza di Vercelli, con decreto, disponeva l'immediata revoca del – già disposto – beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
In particolare, il decreto di revoca era giustificato dagli esiti dell'accertamento che l'Agenzia delle Entrate aveva compiuto in relazione ai redditi della famiglia del richiedente; era emerso, infatti, che il padre dell'imputato, con lui convivente in base alle risultanze anagrafiche, nella propria dichiarazione dei redditi aveva indicato il figlio come familiare a carico, beneficiando in conseguenza delle relative detrazioni.
Sulla base di tale accertamento il decreto giungeva alla conclusione secondo cui, nel determinare il reddito rilevante ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio, non doveva aversi riguardo del solo reddito personale del ragazzo in quanto quest'ultimo – sebbene da oltre due anni non coabitasse più con il padre, essendo ricoverato presso una struttura psichiatrica – doveva considerarsi comunque con lui convivente, sia alla luce delle risultanze anagrafiche che per la fruizione dei benefici fiscali derivanti dalla predetta convivenza anagrafica.
Avverso siffatto rigetto, il ragazzo ricorreva in Cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione. dell'art. 76, commi 2 e 4 del d.P.R. n. 115/2002 laddove si prevede che, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti da ogni componente della famiglia, compreso l'istante… nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi, si tiene conto del solo reddito personale del richiedente.
In particolare, il ricorrente rilevava come fosse stato illogico far rientrare nel reddito rilevante ai fini dell'ammissione del beneficio i redditi del padre per due ordini di ragioni.
In primo luogo, era stata fornita la prova di un'effettiva e protratta mancanza di coabitazione sicché, anche alla luce del recente orientamento di legittimità che invita a tenere in maggiore considerazione il dato materiale della coabitazione, nel senso di effettiva convivenza, non ricorreva la previsione di cui al comma 2 dell'art. 76.
In secondo luogo si evidenziava come, avendo il padre denunciato il figlio, si era in presenza di un palese conflitto di interessi tra il ricorrente e i suoi familiari, vittime delle condotte oggetto del procedimento penale ed, in quella sede, rivestenti il ruolo di persone offese.
La Cassazione condivide le doglianze del ricorrente.
In punto di diritto, la Corte ricorda che, per pacifica e recente giurisprudenza, nella determinazione del reddito complessivo rilevante ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non può tenersi conto del reddito prodotto dal familiare convivente quando quest'ultimo è persona offesa del reato per il quale si procede.
Con specifico riferimento al caso di specie, ricorre tale presupposto, poiché il padre convivente, produttore del reddito, assumeva la veste di persona offesa dei reati per i quali il figlio era imputato nel procedimento in relazione al quale aveva richiesto il beneficio.
Tale profilo, del tutto omesso nell'impugnato provvedimento, assume rilevanza tale da assorbire l'ulteriore questione relativa al perdurare del rapporto di convivenza tra padre e figlio, pur in presenza di una situazione di ricovero del ricorrente presso una struttura psichiatrica da oltre due anni.
In conclusione la Corte – ritenendo come la revoca del beneficio si appalesi del tutto illegittima – accoglie il ricorso, annulla il provvedimento impugnato, con rinvio al Magistrato di sorveglianza di Vercelli per nuovo esame.