Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con Sentenza n. 10833 del 2016 con la quale i Supremi Giudici hanno precisato che in casi come quello sottoposto al loro esame, che vedeva attore un lavoratore nei confronti del quale erano state comminate nove sanzioni disciplinari conservative, non poteva che ritenersi del tutto giustificata la sanzione disciplinare del rimprovero scritto, comminata dalla parte datoriale a causa della tardiva comunicazione, da parte del lavoratore, della sua assenza dal lavoro.
Con riguardo alle censure del predetto dipendente, concernenti il difetto di tempestività delle contestazioni, la Suprema Corte ha richiamato la propria giurisprudenza, alla cui stregua il principio dell´immediatezza della contestazione dell´addebito deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo in funzione della complessità propri dell´accertamento e della valutazione dei fatti, e non potendo ritorcersi a danno del datore di lavoro l´affidamento riposto nella correttezza del dipendente o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell´illecito; o, ancora, supporsi una tolleranza dell´azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente, fermo restando che la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato.
Secondo la Corte di Cassazione, nella specie, avendo la Corte di merito adeguatamente motivato il proprio convincimento in relazione a tutte le contestazioni oggetto del contendere, valorizzando i ragionevoli tempi tecnici necessari allo svolgimento delle indagini e alla valutazione dei loro risultati in una struttura complessa e articolata quale l´Agenzia del Demanio (datore di lavoro), le censure di parte ricorrente andavano disattese.
Circa le censure concernenti la mancata indicazione del termine a discolpa, i Giudici del Palazzaccio hanno invece osservato che la Corte territoriale aveva già correttamente interpretato il richiamo all´art. 57 CCNL, esplicitamente contenuto nelle contestazioni disciplinari inoltrate al ricorrente, come indicativo della volontà datoriale di assegnare per le discolpe il termine ivi indicato (e analogo a quello previsto dall´art. 7 St. lav.) di cinque giorni.
Pertanto, considerato che, in tema di interpretazione del contratto e in genere degli atti unilaterali inter vivos aventi natura negoziale, il controllo di legittimità concerne solo la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati, qualora il ricorrente avesse voluto criticare l´interpretazione delle lettere di contestazione fatta propria dalla Corte territoriale, avrebbe dovuto censurarne la motivazione o sotto il profilo della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, indicando specificamente in che modo la ricostruzione della volontà ivi compiuta si fosse posta in violazione dei precetti di cui agli artt. 1362 ss. c.c., ovvero per vizio di motivazione, indicando anche qui specificamente quali omissioni, insufficienze o contraddittorietà ne inficiassero l´accertamento di fatto: la ricostruzione della volontà negoziale è infatti opera del giudice di merito e non è possibile richiedere in sede di legittimità una nuova valutazione dell´attività negoziale oppure contrapporre un´altra interpretazione della medesima rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito.
Muovendo da tali considerazioni, la Corte ha ritenuto la sanzione disciplinare comminata al lavoratore esente da ogni consura di legittimità.
Sentenza allegata
Con riguardo alle censure del predetto dipendente, concernenti il difetto di tempestività delle contestazioni, la Suprema Corte ha richiamato la propria giurisprudenza, alla cui stregua il principio dell´immediatezza della contestazione dell´addebito deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo in funzione della complessità propri dell´accertamento e della valutazione dei fatti, e non potendo ritorcersi a danno del datore di lavoro l´affidamento riposto nella correttezza del dipendente o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell´illecito; o, ancora, supporsi una tolleranza dell´azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente, fermo restando che la valutazione della tempestività della contestazione costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato.
Secondo la Corte di Cassazione, nella specie, avendo la Corte di merito adeguatamente motivato il proprio convincimento in relazione a tutte le contestazioni oggetto del contendere, valorizzando i ragionevoli tempi tecnici necessari allo svolgimento delle indagini e alla valutazione dei loro risultati in una struttura complessa e articolata quale l´Agenzia del Demanio (datore di lavoro), le censure di parte ricorrente andavano disattese.
Circa le censure concernenti la mancata indicazione del termine a discolpa, i Giudici del Palazzaccio hanno invece osservato che la Corte territoriale aveva già correttamente interpretato il richiamo all´art. 57 CCNL, esplicitamente contenuto nelle contestazioni disciplinari inoltrate al ricorrente, come indicativo della volontà datoriale di assegnare per le discolpe il termine ivi indicato (e analogo a quello previsto dall´art. 7 St. lav.) di cinque giorni.
Pertanto, considerato che, in tema di interpretazione del contratto e in genere degli atti unilaterali inter vivos aventi natura negoziale, il controllo di legittimità concerne solo la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati, qualora il ricorrente avesse voluto criticare l´interpretazione delle lettere di contestazione fatta propria dalla Corte territoriale, avrebbe dovuto censurarne la motivazione o sotto il profilo della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, indicando specificamente in che modo la ricostruzione della volontà ivi compiuta si fosse posta in violazione dei precetti di cui agli artt. 1362 ss. c.c., ovvero per vizio di motivazione, indicando anche qui specificamente quali omissioni, insufficienze o contraddittorietà ne inficiassero l´accertamento di fatto: la ricostruzione della volontà negoziale è infatti opera del giudice di merito e non è possibile richiedere in sede di legittimità una nuova valutazione dell´attività negoziale oppure contrapporre un´altra interpretazione della medesima rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito.
Muovendo da tali considerazioni, la Corte ha ritenuto la sanzione disciplinare comminata al lavoratore esente da ogni consura di legittimità.
Sentenza allegata
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