Di Redazione su Sabato, 16 Marzo 2019
Categoria: Legge e Diritto

"Giudizi morali non competono a magistrati". Pg apre istruttoria su sentenze choc e censura passerelle con stampa

I giudici devono occuparsi di diritto e fare i giudici, i giudizi morali, così come anche quelli estetici, non appartengono a loro e di essi non vi deve essere traccia alcuna nelle sentenze. La scure della procura generale della Cassazione e del suo capo Riccardo Fuzio, nella foto, si è abbattuta poche ore fa non solo sui Giudici di Genova e di Bologna che hanno depositato le notissime sentenze sui femminicidi, aspramente criticate non solo dall'opinione pubblica ma anche da importanti rappresentanti delle istituzioni, ma anche su tutti quei magistrati che propendono per una giurisprudenza creativa è, per così dire, fuori le righe, e per passerelle di fronte alla stampa che, ha ricordato il procuratore generale, sono del tutto fuori luogo e possono perfino condurre i responsabili davanti ad una commissione disciplinare, come probabilmente accadrà per uno dei casi citati. Ma vediamo esattamente ciò che ha detto il procuratore generale.

L'incipit dell'intervento non lascia adito ad alcun dubbio: "Nelle sentenze bisogna occuparsi di fatti e non dare giudizi morali o estetici: farlo potrebbe costituire illecito disciplinare" ed inoltre deve "essere rispettata la dignità delle persone e la correttezza verso le parti del processo".

Sulla sentenza di Bologna "tempesta emotiva" Fuzio ha rivelato che lo stesso ufficio giudiziario ha inviato alla Cassazione la sentenza e poi ha aggiunto: "sembra che lo stesso estensore della sentenza abbia fatto una conferenza stampa e questo è un fatto censurabile". 

Il Pg ha annunciato che il suo ufficio studierà tali decisioni della magistratura così da "ricostruire per bene tutte queste vicende per valutare".

Poco prima della dura reprimenda del procuratore generale della Corte di Cassazione, si erano espressi, in senso molto diverso, il presidente dell' Unione Italiana camere penali Giandomenico Caiazza e la sezione Veneta dell'Associazione Nazionale magistrati, che, tra l'altro, avevano dato piena solidarietà al giudice Carpanini. 

Riportiamo innanzitutto il commento dell'avvocato Gian Domenico Caiazza: 

"Si chiama Silvia Carpanini la Presidente dell'ufficio GIP di Genova finita al centro di una dura polemica sollevata dalla politica, dai media e per conseguenza da molti cittadini per l'esito di un giudizio penale per omicidio a lei affidato con rito abbreviato. Lo scandalo starebbe nel fatto che la Giudice abbia ritenuto –udite udite- di applicare le circostanze generiche all'omicida, così determinando conclusivamente la pena –già diminuita di un terzo per aver l'imputato scelto il rito abbreviato- ad anni 16 di reclusione.

Io non ho la minima esitazione nell'indicarla come figura esemplare, come paradigma di ciò che un giudice, il giudice, ha il dovere di essere.

Muoviamo intanto da alcuni paradossi molto significativi di questa vicenda. Il leit motiv più diffuso è: <<16 anni sono pochi per un omicidio>>. Si tratta di una affermazione semplicemente insensata. Il giudice penale ha sì potere discrezionale di determinazione della pena, ma solo nei limiti consentiti dalla legge. Se la legge consente la irrogazione anche di una pena di 16 anni di reclusione per un omicidio, sarà il caso che chi parla a vanvera di diritto si faccia un paio di semplici domande. Se il legislatore ha previsto questa graduazione di pena per un reato che, per converso, può anche essere punito con l'ergastolo, una ragione dovrà pur esserci, ed infatti c'è, banalissima.

Non tutti i reati sono eguali tra di loro, pur se siano della stessa specie. Un omicidio conseguente ad un pugno dato in una rissa (preterintenzionale) costituisce l'esito drammatico di un gesto comunque esecrabile, ma la cui gravità risulta imparagonabile con chi mi abbia inferto, in quella stessa rissa, una coltellata nel cuore.

L'intensità del dolo, dunque la gravità dell'intenzione e perciò la gravita della condotta omicidiaria è o non è diversa a seconda se –a decrescere in ordine di gravità- essa sia stata premeditata con cura molti giorni prima, fin nei minimi dettagli; o altrimenti sia nata quella stessa sera, per avere l'omicida ricevuto un insulto che, dopo lunga e fredda riflessione, ha deciso di far pagare al suo offensore con la morte; o invece sia nata d'improvviso, per una reazione emotiva sproporzionata, imprevedibile, incontenibile a quell'insulto, che mi fa compiere un gesto tremendo che né avevo mai pensato di compiere fino ad un minuto prima, né che avrei mai pensato di essere capace di compiere? E tutti questi esempi saranno a loro volta diversi dall'omicidio commesso dal killer professionista?

Certo che sono situazioni differenti, sulle quali i giuristi di ogni epoca si sono lungamente e dettagliatamente interrogati.

È allora ovvio che la diversità delle modalità del fatto omicidiario, delle ragioni che lo determinano, delle circostanze di modo e di tempo nel quale esso matura, della c.d. intensità del dolo, esigono trattamenti sanzionatori diversi. Per la stessa ragione, un marito che uccide mosso dalla gelosia non può più pretendere, per fortuna, la giustificazione del delitto d'onore; ma nemmeno può pretendersi che il marito che uccide per gelosia sia trattato sempre allo stesso modo.

La dott.ssa Carpanini ha spiegato, con splendida ed un po' altera icasticità (e la cosa mi è piaciuta molto) le peculiarità che lei ha ritenuto di rinvenire nelle dinamiche che hanno portato l'omicida ad agire con dolo d'impeto, tale da giustificare la concessione delle generiche.

Avrà motivato male? Impugni il Pubblico Ministero, se ha argomenti seri per farlo; impugni la parte civile, se lo ritiene, anche solo per gli interessi civili. Ma questo analfabetismo di ritorno che si impanca a giudice di un processo che non conosce e non vuole nemmeno conoscere, è francamente insopportabile. E l'algido distacco, l'orgogliosa alterigia intellettuale con la quale questa giudice genovese, incurante degli improperi ottusi e violenti che ha ricevuto, ha seccamente rivendicato il suo ruolo di Giudice, ha finalmente conferito dignità ad una discussione insensata, improbabile ed in definitiva umiliante, perché mossa dalla arrogante pretesa di poter parlare e giudicare di un fatto che, semplicemente, si ignora, e per definire il quale si è dovuto celebrare un processo, studiare atti, carte, perizie, ascoltare storie, versioni, punti di vista dei protagonisti di quella tragedia.

Onore alla vittima di quella tremenda violenza, certamente; ma onore anche ad un Giudice –è proprio il caso di dirlo- con la G maiuscola".

"Le motivazioni delle sentenze vanno lette tutte e per intero anche quando sono complesse e articolate senza estrapolare dal contesto singole frasi o parole con il solo fine strumentale di aizzare l'opinione pubblica".

Una nota, quella stilata dall'Associazione nazionale magistrati della Liguria, di difesa della collega genovese Carpanini, estensore della sentenza con cui è stato condannato a 16 anni Javier Gamboa, che ha suscitato l'indignazione dell'opinione pubblica e di rappresentanti delle istituzioni.

"In una democrazia – scrivono i magistrati – le sentenze sono soggette a critica così come le leggi e gli atti di governo: fa parte del controllo della pubblica opinione a cui ogni istituzione è soggetta. E noi magistrati sappiamo benissimo che pronunciando sentenze in nome del popolo italiano abbiamo il dovere di spiegare le ragioni per cui si prendono le decisioni".

"Soprattutto chi ha responsabilità istituzionali e di governo – continua la sezione ligure dell'Anm – sa, o dovrebbe sapere, che prima di esprimere giudizi semplificati le questioni vanno approfondite leggendo la sentenza del Tribunale di Genova depositata tre mesi fa, e poi si possono muovere con cognizione di causa le critiche, anche le più dure".

"Come magistrati siamo ormai abituati da molti anni a essere attaccati per le decisioni che prendiamo:ciononostante continueremo a fare il nostro lavoro con la dignità e l'indipendenza che ha dimostrato proprio la nostra collega SilviaCarpanini, a cui va la nostra incondizionata solidarietà per essere diventata un altro bersaglio, utile per una campagna di manipolazione dell'opinione pubblica. Parlare di 'delitto d'onore' o usare altre forme semplificate di comunicazione serve solo a alimentare la sfiducia nei confronti dell'autorità giudiziaria: e ciò non fa bene al Paese e alla società democratica".