La questione è stata indagata dai Giudici della Suprema Corte, Sezione Lavoro, con Sentenza n. 11412 del 2016, con la quale, pronunciandosi in ordine alle richieste di un giornalista pubblicista, al contempo dipendente comunale, sono stati riconosciuto dovuti e corretti i compensi ulteriori riconosciuti al professionista maturati in virtù di una collaborazione con una testata giornalistica, protrattasi addirittura per sei anni.
Decisiva, in questa ottica, «la determinazione del compenso eseguita dal consulente tecnico d´ufficio attraverso l´utilizzazione delle tabelle elaborate dal Consiglio dell´Ordine dei giornalisti» in materia di «compensi minimi».
In sostanza, nel caso "de quo", una volta accertata «la mancanza di un accordo sul corrispettivo delle prestazioni rese» dal giornalista, è stato logico fare riferimento al «parere dell´Ordine di appartenenza», sempre tenendo conto, però, della necessità di «adeguatezza del compenso in ragione dell´importanza dell´opera e del decoro della professione».
La circostanza per la quale le tabelle elaborate dal Consiglio dell´ordine non erano vincolanti non impediva alla Corte di merito, nell´ambito del potere di determinazione giudiziale del compenso ai sensi dell´art. 2233 cod. civ., comma 1, di ritenerle indicative in considerazione del fatto che le stesse fornivano elementi utili ai fini della individuazione dei minimi inderogabili a garanzia dell´attività svolta dal lavoratore.
Si è, infatti, affermato che "l´art. 2233 cod. civ., nello stabilire che la liquidazione del compenso spettante al professionista, in difetto di espressa pattuizione tra le parti, debba essere eseguita a termini di tariffa e, quando questa manchi (o non sia vincolante: cosiddetta tariffa obbligatoria, direttamente integrativa del contratto), essere determinata "ope iudicis", secondo un criterio discrezionale, previo parere obbligatorio (anche se non vincolante) della competente associazione professionale, impone al giudice l´obbligo della richiesta, e della conseguente acquisizione, del detto parere, dal quale egli può, poi, legittimamente discostarsi a condizione di fornire adeguata motivazione e di non ricorrere al criterio dell´equità."
Si è, altresì, statuito che "per le prestazioni giornalistiche non esistono tariffe professionali, agli effetti dell´art. 2233 cod. civ., ma solo una tabella dei "compensi minimi", varata di anno in anno, ai sensi della legge 3 febbraio 1963, n. 69, la quale, in assenza di specifiche disposizioni legislative che attribuiscano all´ordine dei giornalisti il potere di fissare compensi minimi inderogabili, ha carattere indicativo e non vincolante."
In definitiva, nella sentenza impugnata non è dato ravvisare, secondo i Supremi Giudici, la sussistenza dei lamentati vizi di violazione di legge, né di quello della motivazione, atteso che la Corte di merito ha esercitato correttamente il proprio potere di determinazione giudiziale del compenso di cui trattasi alla luce della previsione di cui all´art. 2233 c.c. e di quanto stabilito nella sentenza rescindente, provvedendo, nel contempo, ad illustrare adeguatamente le ragioni del proprio convincimento in maniera tale da sfuggire ai rilievi di legittimità.
Il ricorso è stato quindi rigettato, essendo ritenute legittime le doglianze del professionista, in relazione al cui operato i supremi Giudici hanno ritenuta corretta la quantificazione in euro 112 mila come cifra suppletiva da corrispondere per il lavoro prestato.
Sentenza allegata
Decisiva, in questa ottica, «la determinazione del compenso eseguita dal consulente tecnico d´ufficio attraverso l´utilizzazione delle tabelle elaborate dal Consiglio dell´Ordine dei giornalisti» in materia di «compensi minimi».
In sostanza, nel caso "de quo", una volta accertata «la mancanza di un accordo sul corrispettivo delle prestazioni rese» dal giornalista, è stato logico fare riferimento al «parere dell´Ordine di appartenenza», sempre tenendo conto, però, della necessità di «adeguatezza del compenso in ragione dell´importanza dell´opera e del decoro della professione».
La circostanza per la quale le tabelle elaborate dal Consiglio dell´ordine non erano vincolanti non impediva alla Corte di merito, nell´ambito del potere di determinazione giudiziale del compenso ai sensi dell´art. 2233 cod. civ., comma 1, di ritenerle indicative in considerazione del fatto che le stesse fornivano elementi utili ai fini della individuazione dei minimi inderogabili a garanzia dell´attività svolta dal lavoratore.
Si è, infatti, affermato che "l´art. 2233 cod. civ., nello stabilire che la liquidazione del compenso spettante al professionista, in difetto di espressa pattuizione tra le parti, debba essere eseguita a termini di tariffa e, quando questa manchi (o non sia vincolante: cosiddetta tariffa obbligatoria, direttamente integrativa del contratto), essere determinata "ope iudicis", secondo un criterio discrezionale, previo parere obbligatorio (anche se non vincolante) della competente associazione professionale, impone al giudice l´obbligo della richiesta, e della conseguente acquisizione, del detto parere, dal quale egli può, poi, legittimamente discostarsi a condizione di fornire adeguata motivazione e di non ricorrere al criterio dell´equità."
Si è, altresì, statuito che "per le prestazioni giornalistiche non esistono tariffe professionali, agli effetti dell´art. 2233 cod. civ., ma solo una tabella dei "compensi minimi", varata di anno in anno, ai sensi della legge 3 febbraio 1963, n. 69, la quale, in assenza di specifiche disposizioni legislative che attribuiscano all´ordine dei giornalisti il potere di fissare compensi minimi inderogabili, ha carattere indicativo e non vincolante."
In definitiva, nella sentenza impugnata non è dato ravvisare, secondo i Supremi Giudici, la sussistenza dei lamentati vizi di violazione di legge, né di quello della motivazione, atteso che la Corte di merito ha esercitato correttamente il proprio potere di determinazione giudiziale del compenso di cui trattasi alla luce della previsione di cui all´art. 2233 c.c. e di quanto stabilito nella sentenza rescindente, provvedendo, nel contempo, ad illustrare adeguatamente le ragioni del proprio convincimento in maniera tale da sfuggire ai rilievi di legittimità.
Il ricorso è stato quindi rigettato, essendo ritenute legittime le doglianze del professionista, in relazione al cui operato i supremi Giudici hanno ritenuta corretta la quantificazione in euro 112 mila come cifra suppletiva da corrispondere per il lavoro prestato.
Sentenza allegata
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