Di Redazione su Sabato, 10 Settembre 2016
Categoria: Giurisprudenza Cassazione Penale

Sindaco a consigliere: "È un imbecille, ha scritto una cazzata", SC non è critica politica, condannato

Non rientra nell´esercizio di critica politica una espressione verbale offensiva pronunciata durante un dialogo tra due forze politiche di maggioranza ed opposizione.
Infatti, il clima di opposizione politica non può giustificare un´aggressione verbale che come tale esula dalla dialettica democratica e rientra pienamente nell´offesa personale.
Pertanto, non trova applicazione l´esimente del diritto di critica politica quando la condotta offensiva si concretizza in insulti gratuiti che non appalesino le ragioni del confronto politico.
E´ quanto ha affermato la Quinta Sezione penale della Cassazione che, con la sentenza n. 36992 depositata in data 06.09.2016, ha rigettato il ricorso proposto da un sindaco condannato, prima dal giudice di pace di Sarzana e poi dal Tribunale di La Spezia in funzione di giudice di appello, per aver commesso il reato previsto dall´art. 595 c.p. nei confronti di un consigliere comunale.
La questione era sorta durante una seduta del consiglio comunale, nella quale il primo cittadino, rivolgendosi ad un consigliere di opposizione, proferiva la seguente frase "la lettera di un imbecille che ha scritto una cazzata", davanti ai consiglieri ed al pubblico presenti in aula.
La frase, pronunciata durante il dialogo con il consigliere comunale appartenente alla forza di opposizione, era in realtà diretta ad un altro consigliere non presente alla seduta.
Il ricorrente, con ricorso in Cassazione, deduceva il vizio di violazione di legge per non aver il Giudice d´ Appello riconosciuto la scriminante del diritto di critica politica poiché, a suo dire, la frase pronunciata non avrebbe alcuna valenza diffamatoria ed anzi costituirebbe una libera manifestazione del proprio pensiero, in un contesto di tensione politica tra consiglieri di maggioranza ed opposizione. Invocava, inoltre, la causa di giustificazione dello stato d´ira o del fatto ingiusto (ex art. 599 c.2 c.p.) per aver pronunciato la frase di cui sopra come conseguenza della provocazione posta in essere dal consigliere comunale di opposizione.
I giudici della Suprema Corte, con riferimento a quest´ultimo, hanno, al contrario, ritenuto che il consigliere ha solamente espresso la sua opinione con riferimento all´oggetto della discussione in corso e che quindi nessun intento provocatorio può ravvisarsi; soprattutto con riferimento al fatto che il consigliere al quale era veramente rivolta l´espressione diffamatoria non presiedeva la seduta consiliare, pertanto materialmente non sarebbe potuto esistere l´atto provocatorio.
L´esimente della provocazione, infatti, richiede un rapporto di causalità psicologica tra l´offesa ricevuta dal provocatore e la reazione del provocato.
A tal proposito si ricorda che, la giurisprudenza, in tema di applicazione dell´attenuante generica prevista dall´art. 62 n.2 c.p., ormai riconosce pacificamente che la reazione del provocato (determinato da uno stato d´ira collegato ad un fatto ingiusto del provocatore) non necessariamente deve essere rivolta al provocatore ma può essere indirizzata anche nei confronti di un soggetto terzo. Tuttavia, la Suprema Corte, ha specificato che affinché sia applicabile l´attenuante c.d. della provocazione, di cui all´ art. 62 c.2 c.p., è necessario che l´agente terzo (al quale è rivolta la reazione del provocato) sia legato al soggetto provocatore da rapporti "giuridicamente e moralmente apprezzabili" tali da giustificare la reazione (così Cass. 9907/2012).
Con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, denunciato dal ricorrente con il quinto motivo di ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto l´assenza di elementi significativi nella condotta del reo atti a giustificare una diminuzione di pena, come ad esempio il fatto che l´imputato non si sia mai scusato con il consigliere comunale per la frase pronunciata.
In conclusione è bene ricordare che nell´ambito di applicazione del diritto di critica politica, il requisito della verità del fatto, risulta attenuato, rispetto a quanto avviene nel diritto di cronaca, poiché la critica qui si configura come una espressione prettamente soggettiva e con carattere congetturale, che non può esigere obiettività ed imparzialità (così Cass. 4938/2010).
carattere congetturale, che non può esigere obiettività ed imparzialità (così Cass. 4938/2010)
Già in passato, la medesima Sezione della Cassazione (V penale), si era pronunciata sul punto ritenendo che un giudizio rivolto ad un avversario politico, mediante parole che se decontestualizzate costituirebbero veri e propri insulti, può essere interpretato come un giudizio negativo sull´operato dell´avversario, se tali parole sono profferite "nell´ambito di una polemica politica" e con riferimento a specifiche vicende (così Cass. 7626/2011).
Quindi, la critica politica per non tramutarsi nel reato di diffamazione deve rispettare dei limiti, in particolare le parole astrattamente offensive:
-devono essere pronunciate nel corso di una diatriba politica e dalle stesse deve emergere le ragioni del contrasto politico e/o ideologico;
-riferirsi a specifiche vicende o fatti costituenti operato di una personalità politica, tali da potersi considerare un giudizio di valore negativo sullo stesso senza trascendere, allo stesso tempo, dal requisito della continenza;
La sentenza è qui allegata





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