Con la recentissima pronuncia n. 33537 dello scorso 27 dicembre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – considerando dubitabile il comportamento di un PM che era stata fotografata in atteggiamenti confidenziali con l'avvocato di un indagato e non si era astenuta – ha confermato la sanzione disciplinare consistente nella censura, ritenendo che "il magistrato del pubblico ministero ha l'obbligo, disciplinarmente rilevante, di astenersi ogni qual volta la propria attività possa risultare infirmata da un interesse personale o familiare e di far tutto il necessario per apparire, imparziale; tale dovere si sostanzia nell'obbligo di comportarsi in modo da rendere indubitabile che l'azione da lui svolta non sia influenzata da interessi personali e che, quindi, non si prospetti un conflitto d'interessi".
Nel caso sottoposto all'attenzione delle Sezioni Unite prende avvio da una incolpazione effettuata nei confronti di un sostituto procuratore, incaricata di sostenere la pubblica accusa in un procedimento concernente un grave disastro ferroviario.
In particolare, erano stati pubblicati, sulla stampa nazionale, delle foto che ritraevano la donna in inequivocabili atteggiamenti con il difensore di uno degli indagati: nella specie, in una foto il legale le baciava il piede, in altra immagine l'avvocato, nell'atto di prenderla in braccio, le cingeva la pancia con la mano e, infine, in una diversa occasione il professionista la abbracciava, ponendosi alle sue spalle e poggiandole sopra il proprio viso.
Nonostante il grande clamore mediatico provocato dalla pubblicazione delle foto e sebbene fosse emerso il rapporto confidenziale e di amicizia con il legale, il PM rifiutava espressamente di astenersi e lo faceva solo in un secondo momento, a seguito delle proteste sollevate dai parenti delle vittime del disastro ferroviario oggetto del procedimento e al colloquio col Procuratore della Repubblica.
Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, la quale infliggeva all'incolpata la sanzione della censura: a sostegno della decisione, i Giudici ritenevano che – dalle foto pubblicate e dalle dichiarazioni di un collega del PM – fosse ben emersa l'assiduità della frequentazione della dottoressa con l'avvocato in questione negli anni immediatamente precedenti, che si era andata diradando, ma che persisteva all'epoca dell'assegnazione dei procedimenti, sia pure con carattere di occasionalità.
Così, era stato provato "il rapporto di grande confidenza e complicità tra il PM e l'avvocato", aggravato dalle particolarità del contesto ambientale e dal clamore sorto intorno al procedimento e alle foto di cui si è riferito.
Il PM, ricorrendo in Cassazione, evidenziava come la facoltà di astensione prevista dall'art. 52 c.p.p. imponesse la preventiva valutazione delle gravi ragioni di convenienza idonee a suggerire l'astensione: nel caso in esame, l'incolpata sosteneva di aver osservato l'obbligo, valutando le gravi ragioni di convenienza.
In secondo luogo, evidenziava come l'obbligo di astensione del pubblico ministero andasse circoscritto alle ipotesi di sussistenza del conflitto d'interessi, giacché l'art. 52 c.p.p. andava interpretato alla luce dell'art. 323 c.p. e, nel caso in esame, nessun conflitto d'interessi sarebbe sussistito.
Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive della ricorrente.
La sentenza in commento rimarca, in punto di diritto, che l'art. 52 c.p.p., nel prevedere la facoltà di astensione per gravi ragioni di convenienza, va interpretato alla luce dell'art. 323 c.p. il quale – a sua volta – sancisce un dovere generale di astensione in capo al pubblico dipendente che vanti un interesse proprio o di un prossimo congiunto.
L'art. 323 c.p., nel contemplare l'obbligo di astensione, ha dettato una norma di carattere generale che va armonizzata e coordinata con quelle speciali che prevedono casi diversi, anche grazie a un effetto parzialmente abrogante che esclude ogni possibile contrasto: il risultato, per quanto riguarda l'art. 52 c.p.p., consiste nell'abrogazione della facoltà, sostituita dall'obbligo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto.
Il conflitto può essere configurabile se l'interesse, anche solo potenziale, abbia carattere di attualità e di oggettiva, concreta rilevabilità, non sia cioè puramente congetturale o remoto; per altro verso, occorre che l'interesse personale sia tale, da ingenerare nella pubblica opinione sospetti, pur se infondati, di mancanza di serenità d'animo e di compiacenza nei confronti di taluno dei soggetti interessati al procedimento del quale il magistrato è istituzionalmente chiamato ad occuparsi.
Tale discorso vale anche per il pubblico ministero, che ha senz'altro veste e ruolo di parte pubblica, tenuta ad agire esclusivamente in funzione del perseguimento dei fini istituzionali assegnati dall'ordinamento.
Sul punto il Supremo Consesso ricorda che – per la necessità di equiparare il trattamento del magistrato del PM a quello del giudice penale, obbligato a astenersi, ex art. 36 c.p.p., di fronte a gravi ragioni di convenienza – il magistrato del pubblico ministero ha l'obbligo, disciplinarmente rilevante, di astenersi ogni qual volta la propria attività possa risultare infirmata da un interesse personale o familiare e di far tutto il necessario per apparire, imparziale; tale dovere si sostanzia nell'obbligo di comportarsi in modo da rendere indubitabile che l'azione da lui svolta non sia influenzata da interessi personali e che, quindi, non si prospetti un conflitto d'interessi.
La relativa valutazione rientra nell'apprezzamento del giudice di merito e, nel caso in esame la sezione disciplinare ha dato conto, in maniera non illogica, sia dell'oggettiva, concreta rilevabilità di un rapporto di grande confidenza e complicità tra il PM e l'avvocato, che dell'attualità del rapporto.
La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione rigetta il ricorso.