Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 26 Luglio 2019
Categoria: Famiglia e Conflitti

Figli trentenni, SC: “Una retribuzione modesta pone fine all’obbligo di mantenimento”

Con l'ordinanza n. 19696 dello scorso 22 luglio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, negando che un padre dovesse mantenere i figli più che trentenni, ha fornito importanti precisazioni sugli obblighi di mantenimento gravanti sui genitori.

Si è difatti statuito che "l'ingresso effettivo nel mondo del lavoro con la percezione di una retribuzione sia pure modesta ma che prelude a una successiva spendita dalla capacità lavorativa a rendimenti crescenti segna la fine dell'obbligo di contribuzione da parte del genitore e la successiva l'eventuale perdita dell'occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento".

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio con una separazione personale di una coppia di coniugi, in relazione alla quale il Tribunale di Avellino – rilevato che entrambi i figli, ormai maggiorenni, avevano iniziato a lavorare e avevano dimostrato la capacità di produrre redditorevocava le disposizioni assunte dal Presidente del Tribunale, ovvero l'obbligo di mantenimento a favore dei figli gravante sul marito.

Proponeva appello la moglie, evidenziando come il mancato raggiungimento di una condizione di indipendenza economica non era imputabile a rifiuto del lavoro o negligenza nella ricerca di una occupazione da parte dei figli.

In relazione alla condizione del figlio minore, nato nel 1985, la mamma evidenziava come- eccetto che per un biennio, durante il quale il ragazzo aveva percepito reddito – negli ultimi anni aveva conseguito redditi di molto inferiori o praticamente inesistenti; il figlio maggiore, classe 1978, invece, non aveva ancora completato la sua formazione professionale, sicché lo svolgimento di attività occasionale di tecnico del suono in occasione di concerti estivi non poteva considerarsi circostanza idonea al raggiungimento di una situazione di autosufficienza economica. 

La Corte di Appello di Napoli accoglieva l'appello, rilevando che non risultava provata l'acquisizione di una condizione di autosufficienza nè la responsabilità dei figli per tale mancata acquisizione.

Ricorrendo in Cassazione, il padre deduceva l'omesso esame di un fatto decisivo e la violazione dell'art. 316 bis c.c..

In particolare, l'uomo si doleva per non aver la Corte d'Appello valutato la documentazione, dallo stesso prodotta, attestante la proprietà di alcuni autoveicoli e altra strumentazione tecnica che il figlio maggiore utilizzava per lo svolgimento della sua attività di tecnico del suono: siffatta documentazione, secondo il ricorrente, incontrovertibilmente dimostrava il raggiungimento di una capacità lavorativa e di una specifica competenza professionale idonea a rendere indipendente il figlio dai genitori.

Con riguardo al figlio minore, il ricorrente rilevava come i redditi prodotti nel biennio giustificavano la revoca dell'assegno, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità secondo cui una volta raggiunta una adeguata capacità lavorativa, e quindi l'indipendenza economica, la successiva perdita della occupazione non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento.

La Cassazione condivide le tesi difensive del ricorrente.

Gli Ermellini evidenziano come la Corte di appello ha compiuto due errori: ritenere che l'obbligo di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni consista nel sostegno economico cui sono tenuti i genitori sino al raggiungimento e al mantenimento dell'indipendenza economica; porre sostanzialmente a carico del genitore la prova della effettiva e stabile autosufficienza o della responsabilità del figlio per la mancata acquisizione di una occupazione che lo renda indipendente. 

Diversamente, l'obbligo del mantenimento dei genitori consiste nel dovere di assicurare ai figli, anche oltre il raggiungimento della maggiore età, e in proporzione alle risorse economiche del soggetto obbligato, la possibilità di completare il percorso formativo prescelto e di acquisire la capacità lavorativa necessaria a rendersi autosufficiente.

Al genitore onerato spetta la prova del raggiungimento di un sufficiente grado di capacità lavorativa, anche tramite il ricorso, in via presuntiva, alla formazione acquisita e alla esistenza di un mercato del lavoro in cui essa sia spendibile; la prova contraria grava, invece, sul figlio maggiorenne, che ha l'onere di dimostrare che, pur avendo completato il proprio percorso formativo, non riesca ad ottenere, per fattori estranei alla sua responsabilità, una sufficiente remunerazione della propria capacità lavorativa.

Ai fini del suo convincimento, il giudice è tenuto a valutare una serie di fattori quali la distanza temporale dal completamento della formazione, l'età raggiunta, ovvero gli altri fattori e circostanze che incidano comunque sul tenore di vita del figlio maggiorenne e che di fatto lo rendano non più dipendente dal contributo proveniente dai genitori; in tale valutazione, per giurisprudenza ormai pacifica, l'ingresso effettivo nel mondo del lavoro – con la percezione di una retribuzione sia pure modesta ma che prelude a una successiva spendita dalla capacità lavorativa a rendimenti crescenti – segna la fine dell'obbligo di contribuzione da parte del genitore, sicché la successiva eventuale perdita dell'occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte di appello non ha valutato, che il figlio maggiore aveva terminato un percorso formativo i cui frutti egli aveva utilizzato in una attività a carattere professionale, utilizzando mezzi che, secondo una valutazione presuntiva, ben potevano costituire una fonte di reddito idonea a garantire l'autosufficienza. In relazione al figlio minore, invece, la Corte non ha valutato la circostanza dell'acquisizione di una capacità lavorativa tale da assicurargli una retribuzione stabile nell'arco di due anni.

In linea più generale, gli Ermellini evidenziano come la Corte di appello non ha preso in considerazione ulteriori rilevanti circostanze – sulle quali si sarebbe dovuto attivare l'onere probatorio gravante sulla mamma – come l'effettività o meno della convivenza dei figli con la madre, la età ormai ampiamente superiore ai trent'anni di entrambi i figli, il tenore di vita posseduto.

In conclusione la Cassazione accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli che, in diversa composizione, deciderà sulla base dell'esame delle circostanze indicate e applicando la giurisprudenza di legittimità richiamata. 

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