Con l'ordinanza n. 772 depositata lo scorso 16 gennaio, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, ha accolto la domanda di una mamma che insisteva affinché fosse attribuito al figlio il cognome del padre, al fine di permettere al bambino di integrarsi a pieno nella famiglia paterna.
Si è difatti precisato che "In tema di minori, è legittima l'attribuzione del patronimico, in aggiunta al cognome della madre, purché non gli arrechi pregiudizio in ragione della cattiva reputazione del padre e purché non ne sia lesivo dell'identità personale, ove questa si sia definitivamente consolidata con l'uso del solo matronimico nella trama dei rapporti personali e sociali".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione la mamma biologica di un bambino chiedeva che lo stesso assumesse il cognome del padre naturale, aggiungendolo a quello della madre, al fine di permettere al bambino di integrarsi a pieno nella famiglia paterna che, nelle more, aveva avuto altri figli con altra donna.
Il Tribunale di Reggio Calabria, accogliendo il ricorso della donna, disponeva che il bambino assumesse anche il cognome del padre naturale, che sarebbe stato posposto a quello della madre.
La Corte di appello di Reggio Calabria confermava la statuizione sul cognome, ritenendo che l'aggiunta del patronimico non recasse alcun pregiudizio al minore, tenuto conto dell'assenza di comportamenti negativi del padre di gravità tale da renderlo inidoneo ad assumere il ruolo genitoriale.
Ricorrendo in Cassazione, il padre censurava la decisione della Corte di merito per violazione e falsa applicazione, dell'art. 262, commi 2 e 4, c.c..
L'uomo evidenziava come l'aggiunta del patronimico ledesse l'interesse del minore che – trovandosi nella fase preadolescenziale – aveva già acquisito nella trama dei rapporti sociali una definitiva e formale identità con il matronimico, tale da sconsigliare l'uso del patronimico, vieppiù alla luce della sua totale inidoneità all'esercizio della responsabilità genitoriale.
La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente.
In punto di diritto, i Supremi Giudici ricordano che, in tema di attribuzione giudiziale del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente dai genitori, i criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale. In tale ambito, la scelta, anche officiosa, del giudice è ampiamente discrezionale e deve avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del successivo riconoscimento.
In particolare, ai sensi del secondo comma dell'art. 262 c.c., qualora la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre: in tale scelta, il giudice è investito del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste da detta disposizione avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all'interesse del minore, tenendo debitamente in considerazione che, nel nostro ordinamento, non vi è una regola di prevalenza del criterio del "prior in tempore", né sussiste alcun "favor" in sé per il cognome paterno.
Ciò premesso, con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano che legittimamente è stata disposta l'attribuzione al minore, in aggiunta al cognome della madre, di quello del padre.
Difatti, il giudice di merito – cui compete un'ampia discrezionalità, incensurabile in Cassazione, se adeguatamente motivata in relazione all'esclusivo interesse del minore - ha preliminarmente individuato in concreto l'interesse del minore, escludendo la ricorrenza di ragioni pregiudizievoli o ostative all'aggiunta del cognome paterno.
Sul punto si è precisato, infatti, che il minore – di appena otto anni – non aveva ancora acquisito con il matronimico, nella trama dei suoi rapporti personali e sociali, una definitiva e formata identità tale da sconsigliare l'aggiunta del patronimico; viceversa, l'aggiunta del cognome paterno gli avrebbe permesso di rafforzare il rapporto con la figura paterna e con gli altri figli del padre, così rafforzando il suo interesse ad affermare e palesare la propria appartenenza alla famiglia paterna.
Compiute queste precisazioni, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.