È legittima la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività forense comminata all'avvocato che:
- nel procedimento di espropriazione presso terzi, promosso quale creditore in proprio, omette di dichiarare al giudice dell'esecuzione i) la già avvenuta corresponsione di quanto dovuto dal terzo, ii) di avere ricevuto la dichiarazione negativa di quest'ultimo;
- in conseguenza di tale omissione, ottiene la fissazione di un'udienza successiva, senza estinzione de procedimento;
- nel corso dell'ulteriore udienza fissata, nonostante l'assenza del terzo pignorato, persevera nell'omettere la produzione della dichiarazione negativa del terzo, inducendo così il giudice in errore e ottenendo l'ordinanza di assegnazione del credito.
Questo è quanto ha statuito la Corte di Cassazione sentenza n. 8777 del 30 marzo 2021.
Ma vediamo i presupposti della predetta statuizione.
Il dovere di verità e la decisione della SC
La professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza (CNF, sentenza n. 110/2018). Per tal verso, l'avvocato deve rispettare anche il dovere di verità. Questo sta a significare che il professionista non può introdurre o utilizzare prove false nel corso del processo, né può omettere in giudizio quelle dichiarazioni di cui ha diretta conoscenza e che:
- sono relative all'esistenza o inesistenza di fatti (CNF, sentenza n. 224/2018);
- costituiscono presupposto specifico per un provvedimento del magistrato (CNF, sentenza n. 224/2018).
E ciò soprattutto ove tale omissione induca il giudice in errore (CNF, sentenza n. 224/2018).
In questa ipotesi se viene ravvisata la volontarietà del comportamento illecito, appare corretta la sanzione della sospensione dall'esercizio dell'attività forense. Al fine di integrare l'illecito disciplinare sotto il profilo soggettivo è sufficiente l'elemento psicologico della suità della condotta inteso come volontà consapevole dell'atto che si compie, giacché ai fini dell'imputabilità dell'infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dell'illegittimità dell'azione, dolo generico e specifico, essendo sufficiente la volontarietà con la quale l'atto deontologicamente scorretto è stato compiuto (CNF, sentenza n. 141/2020).
Tornando alla legittimità della sanzione su citata, appare opportuno far rilevare che è lo stesso art. 50 del codice deontologico forense a stabilire che per la violazione del dovere di verità è comminata la sospensione da uno a tre anni.
La predetta sanzione, tuttavia, dovrà essere applicata:
- sulla base di una istruttoria completa, espletata nel procedimento disciplinare, in cui il giudice del procedimento ha un ampio potere di valutazione in merito alla conferenza e alla rilevanza delle prove, secondo il suo libero convincimento (Cass, n. 8777/2021);
- nonostante venga a mancare l'audizione di testimonianze ininfluenti dal momento che detta mancanza non inficia la decisione disciplinare del giudice non avendo, quest'ultimo, l'obbligo di confutare esplicitamente tutte le tesi ed emergenze istruttorie disattese. Infatti anche per il procedimento disciplinare, la scelta di sentire o no i testimoni, e ancor più reputarli attendibili, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice [...]: la riduzione delle liste testimoniali sovrabbondanti costituisce, invero, un potere tipicamente discrezionale del medesimo, esercitabile anche nel corso dell'espletamento della prova, potendo il giudice non esaurire l'esame di tutti i testimoni ammessi qualora, per i risultati raggiunti, ritenga superflua l'ulteriore assunzione della prova. Tale giudizio si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente motivato anche per implicito dal complesso della motivazione (Cass., nn. 11810/2016; 9551/2009, richiamate da Cass, n. 8777/2021).
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, è stata reputata non esorbitante la sanzione della sanzione della sospensione dall'esercizio dell'attività forense per il comportamento su descritto e posto in essere dall'avvocato incolpato.