Di Redazione su Domenica, 19 Gennaio 2020
Categoria: I padri della psiche

Erich Fromm: "Lo scienziato non teme i propri errori ma ha fede nella ragione"

Erich Seligmann Fromm (Francoforte sul Meno, 23 marzo 1900Muralto, 18 marzo 1980) è stato uno psicologo, sociologo, filosofo, psicoanalista ed accademico tedesco.

Erich Fromm nacque a Francoforte sul Meno da una famiglia di religione ebraica molto osservante. Nel 1922 ottenne il dottorato in sociologia all'università di Heidelberg con una tesi dal titolo Sulla funzione sociologica della legge giudaica nella Diaspora. In seguito studiò psicologia all'Università di Monaco e all'Istituto di Psicoanalisi di Berlino, dove venne analizzato da Hans Sachs e dove seguì le lezioni di alcuni dei più famosi esponenti del movimento freudiano tra i quali Theodor Reik. Nel 1926 incominciò a esercitare la professione presso il sanatorio psicoanalitico di Heidelberg di Frieda Fromm-Reichmann che sposò il 16 giugno 1926 e da cui divorziò nel 1931. Nel 1930 divenne membro del famoso Istituto di ricerche sociali di Francoforte al quale era legato il gruppo di studiosi che diede vita alla cosiddetta scuola di Francoforte e nello stesso anno pubblicò la sua prima tesi sulla funzione delle religioni su una rivista edita da Freud, chiamata Imago.

Iniziò la sua carriera come psicoanalista freudiano ortodosso a Berlino. Dopo la presa del potere in Germania da parte dei nazisti Fromm si trasferì prima a Ginevra e il 25 maggio 1934 emigrò negli Stati Uniti dove compose quasi tutte le sue opere. Esattamente sei anni dopo, il 25 maggio 1940, diventò cittadino statunitense. Il 24 luglio 1944 sposò Henny Gurland, la quale nel 1948 si ammalò e morì soltanto quattro anni dopo, il 4 giugno 1952. Dopo circa un anno e mezzo Fromm si sposò per la terza volta il 18 dicembre 1953 con Annis Glove Freeman.

Fromm visse e insegnò in varie università degli Stati Uniti fra le quali la Columbia, la Yale e la New York University fino al 1950, quando si trasferì a Cuernavaca, in Messico. Nel 1955 fu chiamato a dirigere il dipartimento di psicoanalisi dell'Università Nazionale di Città del Messico. Con Karen Horney e Harry Stack Sullivan si distinse in questo periodo come uno dei principali esponenti di quell'indirizzo "culturalista" che riuniva i freudiani revisionisti, protesi a sottolineare l'influenza dei fattori sociali nella formazione della personalità umana.

Nel 1974 si trasferì in Svizzera, a Muralto, dove morì cinque giorni prima del suo ottantesimo compleanno il 18 marzo 1980.

A partire dal suo primo lavoro del 1941, Fuga dalla libertà gli scritti di Fromm furono notevoli tanto per il loro commento sociale e politico quanto per i loro fondamenti filosofici e psicologici. Infatti, Fuga dalla libertà è considerata come una delle opere fondanti della psicologia politica. Il suo secondo lavoro importante, Dalla parte dell'uomo - indagine sulla psicologia della morale, pubblicato per la prima volta nel 1947, ha continuato e arricchito le idee di Fuga dalla libertà. Considerati insieme, questi libri hanno delineato la teoria del carattere umano di Fromm, che è stata una naturale eredità della teoria di Fromm della natura umana. Il libro più popolare di Fromm è stato L'arte di amare, un bestseller internazionale pubblicato per la prima volta nel 1956, che ha riassunto e completato i principi teorici della natura umana trovati in Fuga dalla libertà e Dalla parte dell'uomo, principi rivisitati in molte altre opere di Fromm.

Il culmine della filosofia politica e sociale di Fromm si trova nel suo libro Psicoanalisi della società contemporanea, pubblicato nel 1955. In esso Fromm poneva argomenti a favore di un modello di socialismo democratico e libertario, di stampo fortemente umanista.

I pensatori che contribuirono maggiormente alla formazione del suo pensiero furono i Profeti, Marx e Bachofen[1] e proprio partendo in primo luogo dai primi lavori di Karl Marx, egli poneva l'enfasi sull'ideale della libertà personale, mancante nei paesi del socialismo reale, giudicati essere come una forma di capitalismo di stato lontani dall'ideale marxista di libertà. Egli vedeva all'opera, tanto in Occidente quanto nell'Europa Orientale, delle strutture sociali disumanizzanti dominate dagli apparati burocratici, con il risultato di un universale fenomeno sociale di alienazione.

Egli divenne quindi uno dei fondatori del movimento dell'Umanesimo Socialista, promuovendo la conoscenza dei primi lavori di Marx e del suo messaggio umanista presso il pubblico negli USA ed in Europa occidentale. All'inizio degli anni sessanta, Erich Fromm pubblica due libri sul pensiero di Marx, a suo parere profondamente travisato dalle università in Occidente e dagli apparati statali in Europa Orientale: Il concetto di Uomo in Marx e Oltre le catene dell'illusione: il mio incontro con Marx e Freud.

In questa ultima opera egli dimostra la profonda affinità fra la visione di Marx e quella di Freud sulla natura umana ed il carattere disumanizzante della società capitalista.

Fromm non fu mai attivo politicamente e non si iscrisse mai a un partito politico ma diede il suo contributo, in America, per contrastare il fenomeno del maccartismo di quegli anni. A questo periodo risale infatti (1961) l'articolo Potrà l'uomo prevalere? Un'indagine sui fatti e le finzioni della politica estera.

Uno dei maggiori interessi politici di Fromm era rivolto al movimento pacifista internazionale, e nella lotta contro gli armamenti nucleari ed il coinvolgimento statunitense nella guerra in Vietnam.

Nel 1968 diede il suo sostegno alla campagna per la nomina presidenziale dell'allora senatore democratico Eugene McCarthy. In seguito alla sconfitta di Eugene McCarthy. Nel 1974, pubblica un articolo dal titolo Commenti sulla politica di distensione, in occasione di un'audizione presso la Commissione Affari Internazionali del Senato statunitense. 

 Oggi è di moda affermare, e psicologi di varie branche della psicologia accademica sono particolarmente propensi ad abbracciare questa tesi, che la teoria di Freud sia "non scientifica". Com'è ovvio, una simile asserzione dipende completamente da ciò che si definisce metodo scientifico, di cui molti psicologi e sociologi hanno una concezione piuttosto semplicistica. Per dirla in parole povere, il metodo in questione consiste nella richiesta che per prima cosa si raccolgano i fatti, poi li si traduca in dati quantitativamente misurabili – cosa resa assai facile dall'impiego di computers –, e che il risultato di queste operazioni sia la formulazione di una teoria o per lo meno di un'ipotesi. Un ulteriore assunto è che, come in un esperimento di scienze naturali, la validità della teoria dipenda dalla possibilità che l'esperimento sia ripetuto da altri, e porti sempre allo stesso risultato. Problemi che non si prestino a questo tipo di quantificazione e di approccio statistico vengono ritenuti privi di carattere scientifico, e quindi estranei al campo della psicologia scientifica. In quest'ottica, uno, due o tre casi isolati che permettono all'osservatore di pervenire a certe conclusioni definitive, vengono dichiarati piú o meno privi di valore finché non siano stati comprovati da un considerevole numero di casi inseribili in un procedimento statistico. Indispensabile a questa concezione del metodo scientifico è il tacito assunto che i fatti di per sé producono la teoria purché si faccia ricorso al giusto metodo, e che quindi sia minimo il ruolo del pensiero creativo dell'osservatore. A questi si richiede la capacità di organizzare un esperimento che appaia soddisfacente senza che prenda le mosse da una sua teoria personale, la quale può o no venir dimostrata nel corso dell'esperimento stesso. Tale concezione della scienza come mera sequenza di fatti selezionati, esperimenti e certezza del risultato, è ormai superata, ed è significativo che oggi i veri scienziati (fisici, biologi, chimici, astronomi, e via dicendo) abbiano ormai da lunga pezza abbandonato questo tipo di primordiale concezione del metodo scientifico.

Quel che nel campo delle scienze sociali distingue gli odierni scienziati creativi dagli pseudoscienziati, è la fede nel potere della ragione, la credenza che la ragione e l'immaginazione umane possono andare al di là della deludente superficie dei fenomeni, pervenendo a ipotesi che riguardino le forze sottese piuttosto che la superficie. L'essenziale è che l'ultima cosa che ci si aspetta è la certezza, poiché si sa che ogni ipotesi sarà sostituita da un'altra, non necessariamente negativa della precedente, ma che invece la modifica e la amplia.

Lo scienziato può sopportare quest'incertezza perché ha fede nella umana ragione. Ciò che lo interessa non è pervenire a un risultato definitivo, bensí ridurre la quantità di illusioni al fine di discendere piú a fondo verso le radici. Lo scienziato non ha neppure paura dei propri errori; sa che la storia della scienza è una storia di asserti erronei ma fruttuosi, pregnanti, dai quali sono emerse nuove ottiche che prevalgono sulla relativa erroneità dell'asserto precedente, e che a nuove ottiche conducono. Se fossero ossessionati dal desiderio di non sbagliare, gli scienziati non sarebbero mai pervenuti a comprensioni intuitive relativamente esatte. Com'è ovvio, il "metodo scientifico" di uno scienziato sociale interessato solo a questioni banali e che non rivolge la propria attenzione a problemi di fondo, porta a risultati e si presta alla stesura di scartoffie il cui unico scopo è di favorire la carriera accademica dell'autore.

Non è certo stato sempre questo il metodo delle scienze sociali, e basti pensare a uomini come Marx, Durkheim, Mayo, Max e Alfred Weber, Tönnies: essi si dedicavano ai problemi piú fondamentali e le loro risposte non si basavano sul metodo ingenuo e positivistico di fare affidamento su risultati statistici in quanto creatori di teorie. Per essi, il potere della ragione e la fede in tale potere erano altrettanto forti e significativi di quanto lo sono in chi si dedichi alle scienze naturali di maggior rilievo. Nel campo delle scienze sociali però le cose sono cambiate. Con il crescente potere della grande industria, molti scienziati sociali piegano il capo e si occupano soprattutto di problemi che possono essere risolti senza disturbare il sistema.Qual è il procedimento che costituisce il metodo scientifico sia delle scienze naturali che della scienza sociale degna di tal nome?

1) Lo scienziato non parte dal nulla, ma il suo pensiero è determinato dalla sua precedente conoscenza e dalla sfida costituita da campi inesplorati.

2) La piú minuziosa e particolareggiata esplorazione dèi fenomeni è la condizione di un'oggettività ottimale. È caratteristica dello scienziato che egli abbia la massima attenzione per i fenomeni costatabili; parecchie grandi scoperte hanno avuto luogo perché uno scienziato ha prestato attenzione a un evento minimo, da tutti gli altri già osservato in precedenza ma ignorato.

3) Sulla base delle teorie note e dell'optimum di conoscenza particolareggiata, lo scienziato formula un'ipotesi. La funzione di un'ipotesi dovrebbe essere di mettere un certo ordine nei fenomeni osservati e di organizzarli sperimentalmente in modo tale che essi sembrino avere un certo senso. È inoltre essenziale che il ricercatore sia in ogni momento in grado di prendere atto di nuovi dati che possano contraddire la sua ipotesi e portare alla revisione della stessa, e cosí ad infinitum.

4) Questo metodo scientifico richiede, ovviamente, che lo scienziato sia almeno relativamente libero da un modo di pensare narcisistico e illusorio, il che equivale a dire che sia in grado di osservare i fatti obiettivamente, senza distorcerli o senza conferir loro un'importanza che non hanno, solo perché è ansioso di dimostrare la giustezza della propria ipotesi. La combinazione di robusta immaginazione e di oggettività raramente si realizza, ed è questa probabilmente la ragione per cui sono rari i grandi scienziati che riescono a soddisfare entrambe le condizioni. Per diventare uno scienziato creativo, una grande intelligenza è una premessa necessaria, ma non sufficiente. In realtà, una condizione di completa obiettività può difficilmente venir raggiunta, in primo luogo perché lo scienziato, come abbiamo già detto, è sempre influenzato dal buon senso del proprio tempo, e per di piú solo individui eccezionalmente dotati sono immuni da narcisismo. Pure, nel complesso la disciplina del pensiero scientifico ha prodotto un livello di obiettività e di quel che si può definire coscienza scientifica che difficilmente è dato trovare in altri campi della vita culturale. In realtà, il fatto che i grandi scienziati abbiano scorto piú di chiunque altro il pericolo che minaccia oggi l'umanità e abbiano ammonito contro di esso, è la riprova della loro capacità di essere obiettivi e di non lasciarsi influenzare dai clamori di un'opinione pubblica fuorviata.

Questi princípi del metodo scientifico – obiettività, osservazione, formulazione di un'ipotesi e revisione in seguito a ulteriore esame dei fatti –, benché validi per ogni tentativo scientifico, non possono essere applicati allo stesso modo a tutti gli obiettivi del pensiero scientifico. Benché io non sia in grado di parlare con competenza di fisica, è innegabile che ci sia una netta differenza tra l'osservazione di una persona come un tutto unico e vivente, e l'osservazione di certi aspetti di una personalità che siano stati avulsi dalla personalità totale e che vengano studiati senza riferimento all'intero complesso. Questo non può essere fatto con l'insieme senza distorcere quegli aspetti isolati che si tenta di studiare, poiché essi sono in costante interazione con ogni altra parte del sistema e non possono essere compresi al di fuori del tutto. Se si vuole esaminare un aspetto di una personalità isolato da tutto il resto, bisogna sezionare la persona, vale a dire distruggerne l'integrità. Allora si può esaminare questo o quell'aspetto isolato, ma tutti i risultati cui si perviene sono per forza di cose falsi perché ottenuti da materiale morto: l'individuo sezionato.

La persona vivente può essere capita solo come un tutto unico e nella sua vitalità, che è come dire nel costante processo di mutamento. Poiché l'osservatore scientifico cercherà sempre di reperire principi e leggi generali nella molteplicità degli individui.

 Un altro ostacolo ancora si oppone all'approccio scientifico alla comprensione dell'uomo. I dati che otteniamo da una persona sono diversi dai dati che otteniamo con altri esperimenti scientifici. Bisogna capire l'uomo nella sua piena soggettività se si vuole capirlo. Una parola non è "una" parola perché essa è ciò che significa per la persona che la usa. Il significato letterale della parola è una mera astrazione se comparato al significato reale che ha per la persona che la pronunzia. Ovviamente, questo è irrilevante, ancorché non del tutto, per i vocaboli che indicano oggetti concreti, ma è rilevantissimo per quelli che si riferiscono a esperienze emozionali o intellettuali. Una lettera d'amore dell'inizio del secolo ci appare piú o meno sentimentale, artefatta, e in un certo senso sciocca. Una lettera d'amore dei nostri giorni che volesse trasmettere gli stessi sentimenti sarebbe sembrata del tutto fredda e priva di sentimento a individui di cinquant'anni fa. Le parole amore, fede, coraggio, odio, hanno un significato assolutamente oggettivo per ogni individuo, e non è esagerato dire che non hanno mai lo stesso significato per due individui perché non ce ne sono due che siano identici. Può addirittura non avere per una persona lo stesso significato che aveva dieci anni prima a causa dei cambiamenti da questa subiti. Ovviamente, tutto ciò è vero anche per quanto riguarda i sogni. Due sogni identici per contenuto possono avere tuttavia due diversissimi significati per due diversi sognatori. Di solito gli artisti ne sanno ben piú, a proposito della soggettività, per quanto riguarda l'esperienza musicale o altre esperienze artistiche, di quanto ne sappia la media della gente a proposito della soggettività dei vocaboli di cui si serve. Uno dei piú importanti punti dell'approccio scientifico di Freud era proprio la conoscenza della soggettività delle espressioni umane, sulla quale si basa il suo tentativo non già di dare per scontata una data parola pronunciata da un tale, ma di sollevare il problema di che cosa significa quella particolare parola in quel particolare momento e in quel particolare contesto per quella particolare persona. Tale soggettività in effetti accentua considerevolmente l'obiettività del metodo freudiano. Qualsiasi psicologo abbastanza ingenuo da ritenere che "una parola è una parola", comunicherà con un'altra persona solo a un livello assai astratto e fittizio. Una parola è un segno di un'esperienza unica e in un certo senso irripetibile, la quale è ben lungi dall'essere identica al suo significato letterale.

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