Emette un assegno scoperto per contro del cliente: avvocato sospeso dall’esercizio della professione
Con la sentenza n. 37550 dello scorso 30 novembre, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – considerato illecito il comportamento di un avvocato che aveva emesso per conto del proprio assistito assegni risultati successivamente privi di copertura – ha confermato la sanzione disciplinare consistente nella sospensione dall'esercizio della professione forense per dieci mesi.
Rigettando le difese del legale, secondo cui quel tipo di condotta non era tipizzata dal codice deontologico quale illecito disciplinare, si è statuito che "nel nuovo codice deontologico forense, pur essendo presente un apparato sanzionatorio ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale, non trova per esso applicazione".
Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Consiglio dell'Ordine di Torino che, con sentenza, infliggeva la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione forense per dieci mesi a un avvocato per aver emesso per conto del proprio assistito due assegni risultati successivamente inesigibili per mancanza di fondi.
Il Consiglio Nazionale Forense, ritenuta accertata la violazione del codice deontologico forense (e, in particolare, degli articoli 9 e 26 riguardanti il dovere di dignità, probità e decoro nell'adempimento del mandato) confermava la sanzione applicata.
Il legale, ricorrendo in Cassazione, deduceva violazione dell'art. 3, comma 3 della legge n. 247/2012 nella parte in cui il CNF aveva ritenuto corretta la decisione del COA il quale, pur dando atto che la condotta censurata non fosse tipizzata, nondimeno aveva ritenuto che fosse stato integrato un illecito disciplinare.
A tal riguardo, il legale evidenziava come erroneamente si fosse affermato che non vi fosse tipizzazione delle fattispecie in ambito disciplinare, sostenendo, al contrario, come il codice deontologico precisi i comportamenti degli avvocati indicandone le sanzioni, in applicazione dei principi di legalità e tassatività.
Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive del ricorrente.
Le Sezioni Unite ricordano che nel nuovo codice deontologico forense, pur essendo presente un apparato sanzionatorio ispirato alla tendenziale tipizzazione delle sanzioni, il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale, non trova per esso applicazione. Infatti, nella materia disciplinare forense non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l'enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui segnatamente quello di esercitare la professione forense "con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza" di cui all'art. 9, già artt. 5 e 6, del previgente codice deontologico forense.
Gli Ermellini evidenziano come il suddetto articolo 9 costituisca una "norma di chiusura" che consente attraverso il sintagma "per quanto possibile" di contestare l'illecito anche solo sulla sua base, onde evitare che la mancata "descrizione" di uno o più comportamenti e della relativa sanzione generi immunità.
Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza in commento evidenzia come decisione del Consiglio Nazionale Forense sia aderente ai summenzionati principi, nel punto in cui ha chiarito che l'inadempimento derivante dall'emissione di assegni privi di copertura, pur avendo i caratteri di un illecito comune, è, tuttavia, da ricondurre nell'alveo disciplinare perché idoneo per modalità e gravità a compromettere il rapporto di fiducia con il difensore per la stretta connessione con l'assolvimento dei propri doveri professionali.