E alla fine parlo lui, Piercamillo Davigo, l'ex membro del Pool Mani Pulite degli anni 90, l'ex presidente della Anm, ma anche l'attuale consigliere delle CSM il presidente di sezione penale presso la Suprema Corte di cassazione. Alla fine, parlò lui, che soprattutto è considerato, almeno da gran parte dei media, come il vero ispiratore della riforma targata Bonafede.
L'intervento del magistrato, uno dei più amati e odiati d'italia, bisogna vedere l'approccio, è stato affidato ad una intervista a Gianni Barbacetto e al Fatto Quotidiano ma anche ad un comunicato ufficiale della sua corrente, proprio nel momento in cui gran parte della magistratura ha pubblicamente esternato al mondo della politica e allo stesso governo il proprio dissenso, o almeno i propri distinguo, rispetto ad una riforma che, seppur giudicata necessaria, sembra congegnata male, soprattutto perché è del tutto mancata una interlocuzione tra il ministero, la magistratura e l'avvocatura. Un grave limite metodologico del tutto inedito in un paese in cui un tasso elevato di scontro politico non ha mai impedito ad alcun governo, anche ai tempi della prima Repubblica, di ricercare, quantomeno, un confronto con il terzo potere dello Stato, quello giudiziario.
Ma cosa ha detto Davigo?
Si è schierato, mani e piedi, con la riforma del sistema di prescrizione. Una riforma, ha avvertito, che ha dei limiti, perché l'unico modo per intervenire efficacemente sul sistema, ha continuato, sarebbe quello di modificarne il dies a quo, facendo la decorrere non dalla data del fatto, id est del delitto, così come accade nel nostro ordinamento, ma dalla data in cui la pubblica accusa ha assunto materiale conoscenza del fatto reato ed è quindi nelle condizioni di procedere, o se ciò fosse giudicato eccessivo, almeno dalla richiesta, o dal provvedimento, di rinvio a giudizio. Per il resto, ha continuato, i limiti ci sono, ma le critiche sono ingenerose e infondate. I processi durerebbero meno, ed i colpevoli non avrebbero scampo alcuno, perché oggi in alcune situazioni, i meccanismi che accorciano i dibattimenti non sono attuati, in quanto per gli imputati e per i loro difensori è molto più conveniente puntare sulla prescrizione.
Lasciamo parlare Davigo.
"È l'Italia l'anomalia. Le attuali norme sulla prescrizione rendono in gran parte inutili i procedimenti penali per i reati puniti con pene pari o inferiori a sei anni di reclusione, ovvero la stragrande maggioranza. Riteniamo necessario un intervento legislativo sulla durata e sulla sospensione della prescrizione, in modo da evitare l'effetto distorto di 'amnistia permanente' che tale istituto ha assunto nel corso degli anni a causa di un sistema processuale farraginoso e di difficile gestione". Così la nota di Autonomia e Indipendenza, la sua corrente, che continua: "Ciò avviene quotidianamente a discapito del diritto delle vittime di reato e degli imputati a un giudizio definitivo in tempi ragionevoli". Ma ciò non basta, perché servirebbe ancora altro. Altri strumenti, altre norme, altri interventi"sui quali da tempo si discute senza arrivare mai a risultati concreti", al fine di velocizzare i processi e "scoraggiare impugnazioni meramente dilatorie".
E Davigo? L'Italia è come la grecia, un caso a parte, una anomalia, spiega in un'intervista al Fatto Quotidiano: "Quando in Italia hanno introdotto il nuovo codice di procedura penale, ci hanno raccontato che avremmo avuto il processo all'americana. Ebbene, dice a Gianni Barbacetto, negli Stati Uniti la prescrizione si blocca con l'inizio del processo mentre da noi abbiamo un sistema giudiziario in cui un imputato condannato in primo grado fa appello per avere ridotta la pena, ma sperando in realtà di non scontare alcuna pena, neppure ridotta, perché tanto arriverà la prescrizione. Negli Stati Uniti il 90 per cento degli imputati si dichiara colpevole, se lo è, perché ha interesse a limitare i danni".
Ed ancora: "In Italia, chi fa appello può avere la pena cambiata solo in meglio. Questo, per esempio in Francia, non c'è. Infatti in Francia solo il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena da eseguire viene appellato, mentre in Italia il 100 per cento: ti conviene e non rischi nulla".
Nella convinzione che non ci siano mai state "riforme organiche in questo Paese" Davigo in queste ore, riporta Imago Economica, suggerisce anche un percorso che passi per misure più mirate, indirizzate esclusivamente ai reati con sanzioni pari o al di sotto dei 6 anni. Oppure una proposta centrata sui dati dei reati che più si prescrivono in appello e Cassazione: tra questi, gli abusi edilizi, la ricettazione, i furti. "Tutti questi processi non li possiamo fare".
E la prescrizione? Occorre bloccarla almeno dopo l'avvenuto rinvio a giudizio, ma il vero problema è che "da noi la prescrizione non parte da quando il pm acquisisce la notizia di reato, ma da quando il fatto è avvenuto. Così le Procure della Repubblica scoprono molti casi che sono successi magari 4 o 5 anni prima, che si prescrivono in 7 anni e mezzo e con solo 2 anni e mezzo per fare le indagini e celebrare tre gradi di giudizio. Impossibile. Sarebbe lavoro inutile, così le Procure li lasciano prescrivere per dedicarsi a inchieste più utili. Poi c'è comunque un imbuto tra Procura e Tribunale: a Roma la Procura ha 60 mila processi pronti da mandare a giudizio, ma il Tribunale di Roma ne può accettare soltanto 12 mila". "Se si taglia la prescrizione i processi si accorciano". "I processi in Italia durano tanto perché ce ne sono troppi. E una causa è che ci sono troppi appelli e ricorsi in Cassazione, fatti in attesa che arrivi la prescrizione. Altra causa è che alcuni comportamenti che ridurrebbero la durata dei dibattimenti non sono attuati, perché per gli imputati e loro avvocati, ricorda Davigo, è più conveniente puntare sulla prescrizione del reato".