Di Redazione su Domenica, 22 Dicembre 2019
Categoria: I Maestri del Pensiero

Fëdor Dostoevskij: "Dalla libertà al dispotismo il passo è breve"

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, noto come Fëdor Dostoevskij (Mosca, 11 novembre 1821San Pietroburgo, 9 febbraio1881), è stato uno scrittore e filosofo russo.

È considerato, insieme a Tolstoj, uno dei più grandi romanzieri e pensatori russi di tutti i tempi. A lui è intitolato il cratere Dostoevskij sulla superficie di Mercurio. Le opere che lo hanno reso maggiormente famoso sono Memorie dal sottosuolo, Delitto e castigo, L'idiota, I demoni e I fratelli Karamazov, e viene considerato un esponente dell'esistenzialismo e dello psicologismo. Egli fu un uomo e un intellettuale spesso contraddittorio. Identificato dapprima come voce della corrente nichilista-populista, Dostoevskij capeggiò poi le file degli intellettuali russi più conservatori di fine Ottocento. Nelle Memorie dalla casa dei morti (1859-1862) fanno capolino i grandi valori della tolleranza religiosa, della libertà dalle prigionie materiali e morali, della indulgenza verso i malfattori, cioè verso coloro che, pur essendosi macchiati di crimini contro la legge, sono in definitiva solamente persone più sfortunate e più infelici, e quindi più amate da Dio, che vuole la salvezza del peccatore e non la sua condanna. Tutto è dunque proiettato verso "la libertà, una nuova vita, la resurrezione dai morti..."

A distanza di vent'anni dalle Memorie, alcuni di questi aspetti caratterizzanti del pensiero del giovane e progressista Dostoevskij si rovesceranno completamente nelle riflessioni severe e conservatrici del Diario di uno scrittore (1873-1881), ossia gli articoli scritti sul Cittadino di intonazione nazionalista e slavofila, e nelle sue pagine di riflessione, dove attacca gli usurai ebrei, difende la Chiesa ortodossa russa come unico vero cristianesimo specie in polemica con la dottrina e la gerarchia della Chiesa cattolica (ne L'idiota definisce il cattolicesimo come "peggiore dell'ateismo" stesso), critica Cavour per il modo in cui ha unito l'Italia (pur riconoscendogli doti diplomatiche) e prende posizione contro il lassismo giudiziario, polemizzando contro i progressisti che, dando la colpa di ogni violenza individuale all'ambiente sociale, chiedevano pene meno severe per gli assassini. Attacca il darwinismo sociale, il materialismo storico e il nascente superomismo (Thomas Carlyle, che ispirerà Nietzsche) già attaccato in Delitto e castigo nella figura del protagonista Raskol'nikov, omicida per un presunto bene superiore, oltre che per l'appunto le sentenze lievi o assolutorie nei confronti delle violenze famigliari sui bambini. L'autore esorta a non assolvere il peccato assieme al peccatore, mantenendo pene severe per i reati gravi, pur dichiarandosi sempre contrario alla pena di morte e pietoso verso le condizioni carcerarie.

Lo scrittore si caratterizza per la sua abilità nel delineare i caratteri morali dei personaggi che appaiono nei suoi romanzi, tra i quali spesso figurano i cosiddetti ribelli, che contrastano con i conservatori dei saldi principi della fede e della tradizione russa. I suoi romanzi sono definibili "policentrici", proprio perché spesso non è dato identificare un vero e proprio protagonista, ma si tratta di identità morali incarnate in figure che si scontrano su di una sorta di palcoscenico dell'anima: l'isolamento e l'aberrazione sociale contro le ipocrisie delle convenzioni imposte dalla vita comunitaria (Memorie dal sottosuolo), la supposta sanità mentale contro la malattia (L'idiota), il socialismo contro lo zarismo (I demoni), la fede contro l'ateismo (I fratelli Karamazov).

Nelle opere di Dostoevskij, come nella sua esistenza, la brama di vivere si scontra con una realtà di sofferenza e si coniuga con una incessante ricerca della verità; egli scrisse: «Nonostante tutte le perdite e le privazioni che ho subito, io amo ardentemente la vita, amo la vita per la vita e, davvero, è come se tuttora io mi accingessi in ogni istante a dar inizio alla mia vita [...] e non riesco tuttora assolutamente a discernere se io mi stia avvicinando a terminare la mia vita o se sia appena sul punto di cominciarla: ecco il tratto fondamentale del mio carattere; ed anche, forse, della realtà.»

L'autore, nei suoi romanzi a differenza che negli articoli e nei saggi, cerca di non lasciar mai trasparire un proprio giudizio definitivo sui personaggi, non giudicarli direttamente, ed è questa una sua peculiarità, che ne pose il pensiero in vivace antagonismo con quello dell'altrettanto contraddittorio Lev Tolstoj. Inoltre, anche Dostoevskij – proprio come Tolstoj, pur se per vie diverse – visse un confronto continuo ed al tempo stesso un rapporto tormentoso e quasi personale con la figura di Cristo, a cui si sentiva tanto legato da affermare:

«Sono un figlio del secolo del dubbio e della miscredenza e so che fin nella tomba continuerò ad arrovellarmi se Dio sia. Eppure se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità.»

In Dostoevskij il "sottosuolo" dell'anima è qualcosa di spaventoso che coincide con l'assolutezza del male. Scrive Giuseppe Gallo: "Sul piano dei contenuti, Dostoevskij traccia la prima implacabile anamnesi della crisi dell'uomo contemporaneo, lacerato da pulsioni contraddittorie e insanabili, privo di certezze e punti di riferimento solidi cui uniformare il proprio comportamento morale. A derivarne è una presa di distanza radicale dal razionalismo illuminista e positivista, alla cui pretesa di ricondurre le leggi della natura all'ordine della ragione lo scrittore contrappone la forza della volontà che non ammette limitazioni".

Dalla lettura di romanzi come quelli libertini del marchese de Sade egli rileva la propensione al sadismo (Sigmund Freud descriverà il grande scrittore come un masochista con tendenze minori sadiche, spesso rivolte però contro sé stesso) e alla sopraffazione del forte sul debole presente nell'umanità (raffigurata poi in diversi personaggi, come il Principe di Umiliati e Offesi, Svidrigajlov di Delitto e castigo e Stavrogin de I demoni, immorali e corrotti, ma destinati poi alla crisi personale e al suicidio), e si convince che solo la fede cristiana possa attenuarla: «una volta ripudiato Cristo, l'intelletto umano può giungere a risultati stupefacenti» poiché «vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L'uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l'uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti ad un idolo. Siamo tutti idolatri, non atei». Ne I fratelli Karamazov uno dei personaggi, il tormentato Ivàn Karamazov, pronuncia - in un dialogo col fratello Alëša che ha intrapreso la carriera religiosa - la celebre frase:

«Se Dio non esiste, tutto è permesso.»



Dostoevskij è definito "artista del caos" perché i suoi personaggi hanno sempre il carattere dell'eccezionalità e permettono di avanzare in concreto quei problemi (conflitto tra purezza e peccato, tra abbrutimento e bellezza, tra caos – appunto – e senso della vita) che la filosofia discute attraverso termini di puro concetto; sono concetti che Dostoevskij incarna nei personaggi dei propri romanzi: quindi si comprende perché il grande scrittore russo sia reputato a tutti gli effetti non solo un autore di letteratura, ma anche un autore di filosofia contemporanea. In merito ai suoi personaggi, lo stesso Dostoevskij scrive nel Diario di uno scrittore: «Non sapete che moltissime persone sono malate appunto della loro salute, cioè di una smisurata sicurezza della propria normalità, e perciò stesso contagiate da una terribile presunzione, da una incosciente autoammirazione che talvolta arriva addirittura all'infallibilità? […] Questi uomini pieni di salute non sono così sani come credono, ma, al contrario, sono molto malati e debbono curarsi.» dando così risposta a chi lo accusava d'essere interessato a soggetti con manifestazioni morbose della volontà. 

Dostoevskij ci presenta in questa lettura la teoria di Sigaljov, secondo la quale partendo dall'esigenza del massimo di libertà si deve inevitabilmente arrivare al massimo di oppressione. Il filosofo mette in evidenza la dimensione dialettica della realtà umana, in cui spesso la conclusione contraddice l'idea di partenza.

F. M. Dostoevskij, I demoni


Sigaljov continuò.
"Avendo dedicato la mia energia allo studio del proclama dell'ordinamento sociale della futura società, con la quale sarà sostituita la presente, son giunto alla convinzione che tutti i costruttori di sistema sociali, dai tempi piú antichi fino al nostro anno 187..., sono stati dei sognatori, dei favolisti, degli sciocchi che contraddicevano se stessi, che non capivano assolutamente nulla della storia naturale e di quello strano animale che si chiama uomo. Platone, Rousseau, Fourier sono colonne d'alluminio, tutto ciò va bene forse per i passeri, e non per la società umana. Ma siccome la futura forma sociale è indispensabile proprio ora che tutti, finalmente, ci accingiamo ad agire per non esitare piú, io propongo il mio proprio sistema dell'ordinamento del mondo. Eccolo!" batté sul quaderno. "Avrei voluto esporre alla adunanza il mio libro in forma possibilmente abbreviata; ma vedo che occorrerà aggiungere ancora una quantità di spiegazioni a voce, e perciò tutta l'esposizione esigerà, almeno dieci sere, secondo il numero dei capitoli del mio libro. (Si udí qualche risata.) Inoltre dichiaro fin da ora che il mio sistema non è finito. (Altre risate.) Mi sono imbrogliato fra i miei propri dati, e la mia conclusione è in diretta contraddizione con l'idea iniziale, da cui parto. Partendo da un'assoluta libertà, concludo con un assoluto dispotismo. Aggiungerò, però, che tranne la mia soluzione della formula sociale non ce ne può essere nessun'altra".
[...]
"Non è questo, signori," s'intromise, alla fine, lo zoppo. In generale parlava con un certo sorriso come ironico, cosí che, magari, era difficile distinguere se parlasse sul serio o scherzasse. "Qui, signori, è un'altra cosa. Il signor Sigaljov è troppo seriamente votato al suo problema ed inoltre è troppo modesto. A me il mio libro è noto. Propone, in forma di soluzione finale della questione, la divisione dell'umanità in due parti disuguali. Una decina parte riceve la libertà della personalità ed ha un diritto illimitato sugli altri nove decimi. Questi devono perdere la personalità e trasformarsi come in una specie di gregge e per mezzo d'un'illimitata obbedienza raggiungere attraverso una serie di rigenerazioni l'innocenza primordiale, qualcosa come il paradiso primordiale, sebbene, del resto, debbano anche lavorare. Le misure proposte dall'autore per togliere ai nove decimi dell'umanità la libertà e per trasformarla in gregge per mezzo della rieducazione d'intere generazioni, sono assai notevoli, fondate su dati naturali ed assai logiche. Si può non convenire con certe deduzioni, ma è difficile dubitare dell'intelligenza e delle cognizioni dell'autore. Peccato che la condizione delle dieci sere sia perfettamente incompatibile con le circostanze; se no, si sarebbero potute sentire molte cose curiose."
[...]
"Ha del buono nel suo quaderno," continuava Verchovjenskij, "approva lo spionaggio. Secondo il suo sistema ogni membro della società vigila sull'altro ed è tenuto a denunciarlo. Ciascuno appartiene a tutti, e tutti a ciascuno. Tutti sono schiavi, e nella schiavitú sono eguali. Nei casi estremi c'è la calunnia e l'omicidio, ma sopra tutto l'eguaglianza. Per prima cosa si abbassa il livello dell'istruzione, delle scienze e degli ingegni. L'alto livello delle scienze e degli ingegni è accessibile solo alle doti superiori: non occorrono le doti superiori! Le doti superiori non possono non esser dispotiche ed hanno sempre corrotto piú che non giovato; vengono scacciate o soppresse. A Cicerone si taglia la lingua, a Copernico si cavano gli occhi, Shakespeare viene lapidato, ecco lo sigaliovismo! Gli schiavi devono essere uguali: senza dispotismo non c'è ancora stata né libertà, né eguaglianza, ma nel gregge ci deve essere l'eguaglianza, ed ecco lo sigaliovismo! Ah, ah, ah, vi riesce strano? Io sono per lo sigaliovismo!"

 Stavrogin cercava d'affrettare il passo e di arrivar piú presto a casa. "Se quest'uomo è ubriaco, dove mai ha fatto in tempo ad ubriacarsi?" gli veniva in mente. "Possibile che sia il cognac?"

"Sentite, Stavrogin: livellare le montagne è una buona idea, non è ridicola. Io sono per Sigaljov! Non occorre l'istruzione, basta scienza! Anche senza la scienza basterà del materiale per mille anni, ma bisogna adattarsi all'obbedienza. Al mondo manca una cosa sola, l'obbedienza. La sete dell'istruzione è già una sete aristocratica. Non appena c'è la famiglia o l'amore, ecco già anche il desiderio della proprietà. Noi faremo morire il desiderio: spargeremo le sbornie, i pettegolezzi, le denunce; spargeremo una corruzione inaudita; spegneremo ogni genio nelle fasce. Tutto allo stesso denominatore, l'eguaglianza perfetta. "Noi abbiamo imparato un mestiere, e siamo gente onesta, non abbiamo bisogno di nient'altro", ecco la recente risposta degli operai inglesi. È indispensabile solo l'indispensabile, ecco l'impresa del globo d'ora innanzi. Ma occorre anche la convulsione; a questo penseremo noi, dirigenti. Gli schiavi devono avere dei dirigenti. Piena obbedienza, piena assenza di personalità, ma una volta ogni trent'anni Sigaljov scatena anche la convulsione, e tutti cominciano a un tratto a divorarsi l'un l'altro, fino a un certo punto, unicamente per evitar la noia. La noia è una sensazione aristocratica; nello sigaliovismo non ci saranno desideri. Il desiderio e la sofferenza è per noi, e per gli schiavi c'è lo sigaliovismo."

F. M. Dostoevskij, I demoni, Garzanti, Milano, 1977, vol. II, pagg. 406-407, 408, 422-423

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