Lo ha affermato la Suprema Corte Cassazione con sentenza numero 17260, sezione lavoro, depositata il 23 agosto 2016, trattando il caso di un dipendente pubblico condannato penalmente per avere aggredito in maniera brutale l´ex fidanzata. Una sentenza destinata a piacere anche alle donne.
Una sentenza importante, non solo in quando conclude il lungo iter giudiziario della singola e complessa controversia in questione, ma soprattutto perché enuncia quei parametri generali di comportamento facendo scaturire, quasi meccanicamente, dalla loro violazione, conseguenze risolutorie.
Tale condotta, secondo quanto affermato dai Giudici di piazza Cavour, non può che implicare delle significative ripercussioni anche sul lavoro.
Infatti, secondo il ragionamento dei giudici di legittimità, nella fattispecie concreta da essi esaminata, la condotta dell´uomo si appalesava in pieno e radicale conflitto con la sua posizione lavorativa, tanto più che la stessa implicava fisiologicamente un contatto col pubblico, essendosi tra l´altro trattato di un comportamento "d´impeto".
Il Giudice di appello aveva già giustamente sottolineato come il Tribunale avesse sussunto la fattispecie concreta in quella astratta prevista dal Codice disciplinare del comparto Ministeri (art. 25 CCNL 1995, come modificato dall´art. 13, comma 6, lett. B CCNL 12 giugno 2003), sulla base delle seguenti considerazioni giuridiche, che attingono anche all´interpretazione ed applicazione della nozione di giusta causa (art. 2119 c.c.), costituente "norma elastica":
- da una persona inserita in un ufficio pubblico, con mansioni che prevedono anche il contatto con gli utenti, si pretende che condotta extralavorativa sia improntata almeno al rispetto dei valori fondamenti dell´integrità fisica e della vita altrui;
- il reato commesso aveva fatto emergere la violazione di tali valori, oltre che l´incapacità del soggetto di frenare, come detto, i propri impulsi e di controllarsi, elemento anch´esso atto a giustificare il venir meno dei vincolo fiduciario .
Comsiderazioni, queste, fatte proprie e integralmente condivise dalla Suprema Corte di Cassazione che alla luce di ciò ha confermato la sentenza di appello rigettando il ricorso con cui il dipendente aveva impugnato l´atto risolutorio comminatogli dalla parte datoriale.
Sentenza allegata
Una sentenza importante, non solo in quando conclude il lungo iter giudiziario della singola e complessa controversia in questione, ma soprattutto perché enuncia quei parametri generali di comportamento facendo scaturire, quasi meccanicamente, dalla loro violazione, conseguenze risolutorie.
Tale condotta, secondo quanto affermato dai Giudici di piazza Cavour, non può che implicare delle significative ripercussioni anche sul lavoro.
Infatti, secondo il ragionamento dei giudici di legittimità, nella fattispecie concreta da essi esaminata, la condotta dell´uomo si appalesava in pieno e radicale conflitto con la sua posizione lavorativa, tanto più che la stessa implicava fisiologicamente un contatto col pubblico, essendosi tra l´altro trattato di un comportamento "d´impeto".
Il Giudice di appello aveva già giustamente sottolineato come il Tribunale avesse sussunto la fattispecie concreta in quella astratta prevista dal Codice disciplinare del comparto Ministeri (art. 25 CCNL 1995, come modificato dall´art. 13, comma 6, lett. B CCNL 12 giugno 2003), sulla base delle seguenti considerazioni giuridiche, che attingono anche all´interpretazione ed applicazione della nozione di giusta causa (art. 2119 c.c.), costituente "norma elastica":
- da una persona inserita in un ufficio pubblico, con mansioni che prevedono anche il contatto con gli utenti, si pretende che condotta extralavorativa sia improntata almeno al rispetto dei valori fondamenti dell´integrità fisica e della vita altrui;
- il reato commesso aveva fatto emergere la violazione di tali valori, oltre che l´incapacità del soggetto di frenare, come detto, i propri impulsi e di controllarsi, elemento anch´esso atto a giustificare il venir meno dei vincolo fiduciario .
Comsiderazioni, queste, fatte proprie e integralmente condivise dalla Suprema Corte di Cassazione che alla luce di ciò ha confermato la sentenza di appello rigettando il ricorso con cui il dipendente aveva impugnato l´atto risolutorio comminatogli dalla parte datoriale.
Sentenza allegata
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