Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 09 Luglio 2021
Categoria: Famiglia e Conflitti

Domanda di alimenti: vizio di ultrapetizione se il giudice riconosce un assegno di mantenimento

Con l'ordinanza n. 15437 dello scorso 3 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, ha sancito il vizio di ultrapetizione cui era incorso il giudice di merito che, chiamato ad esaminare la domanda di una ragazza volta ad ottenere l'aumento dell'assegno alimentare erogatogli dal padre, ha condannato l'uomo a versare alla figlia un importo maggiore a titolo di mantenimento.

Si è difatti statuito che "solo nel procedimento di revisione delle condizioni dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne la richiesta di alimenti da parte del figlio costituisce un "minus" necessariamente ricompreso in quella di aumento dell'importo dell'assegno di mantenimento, con la conseguenza che essa non costituisce domanda nuova, vietata in sede di reclamo.".

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio da un accordo, intervenuto nel lontano 1994, tra i genitori naturali di una bambina, con cui si stabiliva l'obbligo del padre al pagamento degli alimenti nei confronti della figlia, fissato nella misura di Lire 400.000 mensili.

Diversi anni dopo la ragazza, oramai trentaseienne, adiva il Tribunale per ottenere un aumento della somma originariamente riconosciutele; a tal fine deduceva che, almeno da una decina di anni, doveva sopportare maggiori spese, perché aveva deciso di lasciare l'abitazione ove viveva con la madre, impiegata comunale, frequentando ivi l'università, per iscriversi all'università a Roma.

Il Tribunale di Bari condannava, quindi, il padre al pagamento in favore della figlia naturale della somma mensile di Euro 500,00, a titolo di contributo al mantenimento della stessa. 

 La ragazza proponeva appello per ottenere un ulteriore aumento dell'assegno riconosciutole; la Corte d'appello di Bari, respingendo la sua richiesta, rilevava un vizio di ultrapetizione della decisione di primo grado, ex art. 112 c.p.c.: secondo i giudici di appello, infatti, la figlia aveva proposto una domanda diretta all'incremento della somma mensile già percepita a titolo di alimenti; il Tribunale, di contro, le aveva riconosciuto un assegno a titolo di mantenimento.

Nel merito, la Corte distrettuale respingeva la domanda di alimenti, per difetto dei presupposti di legge, non avendo l'attrice provato di versare in stato di bisogno e di essere nell'impossibilità di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento o comunque che fosse intervenuto un mutamento delle condizioni economiche proprie o del padre, considerato, oltretutto, che le accresciute necessità economiche della ragazza erano esclusivamente dipendenti dalla sua scelta personale di trasferirsi per frequentare un'altra facoltà, senza che comunque fosse stato allegato alcunché circa l'andamento e l'esito degli studi universitari.

Ricorrendo in Cassazione, la figlia censurava la decisione per violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 360 n. 3 c.p.c., in relazione all'erronea statuizione da parte della Corte d'appello sul vizio di extrapetizione posto in essere dal Tribunale, essendosi questo limitato a dare alla domanda della ragazza una semplice diversa qualificazione giuridica della domanda, sulla base dei fatti acquisiti al processo, così definendola come richiesta di aumento dell'assegno di mantenimento, quale dovere del genitore verso i figli, anche naturali.

La Cassazione non condivide la posizione della ricorrente.

 La Corte ricorda che il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un "nomen juris" diverso da quello indicato dalle parti, purché non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio.

In relazione ai tratti distintivi degli alimenti e del mantenimento e al caso di passaggio da una domanda di mantenimento ad altra di alimenti, la sentenza in commento ribadisce la differenza di causa petendi e petitum tra alimenti e mantenimento, specificando tuttavia che solo nel procedimento di revisione delle condizioni dell'assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne la richiesta di alimenti da parte del figlio costituisce un "minus" necessariamente ricompreso in quella di aumento dell'importo dell'assegno di mantenimento, con la conseguenza che essa non costituisce domanda nuova, vietata in sede di reclamo.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come la domanda introduttiva proposta in primo grado dalla ragazza era rivolta esclusivamente alla rideterminazione, in aumento, dell'assegno alimentare a carico del padre, concordato tra i genitori naturali nel 1994 e che, quindi, il giudice di primo grado, fissando l'importo di Euro 400,00 mensili "a titolo di mantenimento" fosse andato oltre il petitum richiesto e la causa petendi allegata, potendo costituire la domanda di corresponsione degli alimenti un minus ricompreso nella domanda di mantenimento, ma non il contrario.

Alla luce di tanto, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, con condanna della ricorrente al rimborso delle spese processuali e al versamento dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

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