Riferimenti normativi: Art. 2 D.Lgs. n.446/1997 - condono ex art. 7 Legge n. 289/2002 - art. 43 del D.P.R. n. 600/1973
Focus: La Corte di Cassazione con Ordinanza n.10668 del 22 aprile 2021 ha chiarito che la dichiarazione IRAP presentata dal contribuente indicando il valore simbolico di un euro, anche se infedele, è da ritenersi presentata e non è equiparabile a quella omessa.
Principi generali: L'IRAP è un'imposta che ha come presupposto l'esercizio abituale di un'attività, autonomamente organizzata, diretta alla produzione e allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, comprese le attività esercitate dalle società e dagli enti, inclusi gli organi e le Amministrazione dello Stato (art. 2, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446). Qualora dette attività vengano esercitate in modo occasionale le stesse non rilevano ai fini dell'applicazione dell'IRAP. Per le imprese ed i lavoratori autonomi una parte dell'IRAP versata è deducibile dal reddito d'impresa o dal reddito di lavoro autonomo secondo regole specifiche. Il caso di cui si è occupata la Suprema Corte, con l'Ordinanza n.10668 del 22/04/2021, è scaturito da un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di un architetto per il recupero a tassazione dell'Irap, anno 2002. In particolare, il contribuente aveva presentato una dichiarazione dei redditi completa di tutti i quadri di sua spettanza, ma quello relativo all'IRAP recava l'importo di un euro. Lo stesso, inoltre, si era avvalso della procedura di condono, ai sensi dell'art.7 della Legge n.289/2002, con definizione automatica dei redditi di lavoro autonomo mediante autoliquidazione, prevista solo in caso di presentazione della dichiarazione, ritenendo estinto ogni debito tributario.
Secondo l'Ente impositore, il contribuente non poteva aderire al condono perché la dichiarazione, pur formalmente presentata, nel caso di specie doveva considerarsi sostanzialmente omessa in presenza del valore irrisorio di un euro riportato nel quadro Irap, a fronte di una somma considerevole di reddito professionale dichiarata negli altri quadri della dichiarazione. Pertanto, disconoscendo gli effetti della definizione automatica ex art.7 L.n.289/2002, l'Agenzia delle Entrate avvalendosi della proroga biennale dei termini di notifica di cui all'art. 10 della stessa legge, aveva emesso e notificato nei confronti del professionista un avviso di accertamento altrimenti scaduto. L'avviso di accertamento veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale che respingeva il ricorso e, conseguentemente dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, invece, accoglieva l'appello del professionista. Il giudice di seconde cure, in particolare, riteneva legittima l'adesione al condono, riconoscendo valida la dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente, in quanto completa di tutti i quadri di sua spettanza, anche se nel quadro relativo all'IRAP l'importo indicato era certamente opinabile. Nei motivi di esclusione dal condono, previsti dal comma 3 dell'art. 7 della Lgs. n.289/2002, infatti, non è contemplata la errata compilazione (ancorché voluta) di uno specifico quadro della dichiarazione. Riconosceva, inoltre, che l'adesione al condono si era perfezionata con il dovuto versamento del tributo.
Avverso tale decisione l'Agenzia delle Entrate ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione per violazione, da parte del giudice di secondo grado, degli artt. 8 e 19 del D.Lgs. n. 446/1997, degli artt. 7 e 10 della L.n. 289/2002, nonché dell'art. 10 della Legge n.212/2000, affermando che la dichiarazione di un valore, ai fini Irap, assolutamente irrisorio non può considerarsi un fenomeno di infedele dichiarazione ma di omessa dichiarazione. La Corte Suprema, non riscontrando alcuna violazione delle citate norme da parte della Commissione tributaria regionale, ha ritenuto che, nel caso di specie, la dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente non era di ostacolo alla definizione agevolata in quanto non poteva essere considerata omessa, come sostenuto dall'amministrazione finanziaria, ma come dichiarazione infedele. Di conseguenza, la stessa ha affermato il principio di diritto secondo cui l'Amministrazione finanziaria non poteva avvalersi della proroga biennale dei termini di notifica, di cui all'art. 10 della legge n. 289/2002, prevista per l'ipotesi in cui la dichiarazione sia stata omessa, ma doveva notificare l'avviso di accertamento del maggior reddito ai fini IRAP nei termini ordinari di decadenza di cui all'art. 43 del D.P.R. n. 600/1973. In conclusione, quindi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell'ufficio condannando quest'ultimo al pagamento delle spese di lite in favore del contribuente.