Di Rosalia Ruggieri su Mercoledì, 12 Settembre 2018
Categoria: Famiglia e Conflitti

Determinazione assegno di mantenimento, SC: “Non si applicano preclusioni istruttorie e regole sull’onere della prova”.

Con la pronuncia n. 21178 vertente sulla determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha precisato che, nel corso del giudizio, non valgono le regole, anche procedurali, dettate per l'acquisizione probatoria.

È, quindi, valida anche la prova depositata in sede di precisazione delle conclusioni in quanto la legge, "introducendo il potere di disporre indagini ed assumere mezzi di prova anche d'ufficio, ha operato una chiara deroga alle regole generali sull'onere della prova, la quale importa che le istanze delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell'assegno divorzile o del contributo di mantenimento non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte dell'istante, degli assunti sui quali le richieste sono basate tutte quelle volte che il giudice sia comunque in condizione di desumere aliunde l'attendibilità del dato (anche se) prospettato dalla parte.

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, il Tribunale di Ivrea, disponendo la separazione dei coniugi, statuiva, tra le altre cose, che il padre versasse, quale contributo per il mantenimento dei due figli, un assegno pari a complessivi Euro 350,00 mensili.

Nel corso del giudizio di secondo grado, la Corte d'Appello di Torino attribuiva valore indiziario ad una relazione investigativa attestante la partecipazione del padre ai redditi di una sua impresa di famiglia: dai risultati di suddetta relazione si poteva giungere a ritenere, in via presuntiva, che il reddito a disposizione fosse maggiore di quello dichiarato, consistente in una pensione pari ad Euro 960,00 mensili circa.

In virtù di tanto, i Giudici di secondo grado raddoppiavano il valore dell'assegno di mantenimento, disponendo che il contributo mensile paterno dovesse essere pari ad euro 350,00 per ciascun figlio.

 Ricorrendo in Cassazione, il marito censurava la Corte di merito per aver acquisito e ritenuto utilizzabile per la decisione la summenzionata relazione investigativa prodotta dalla difesa della moglie.

In particolare il ricorrente si doleva perché la Corte aveva attribuito un significativo rilievo indiziario a tale relazione, prodotta tardivamente, soltanto in sede di precisazione delle conclusioni nel grado di appello, in violazione sia delle norme procedurali di cui agli artt. 345 e 356 c.p.c.. sia del principio del contraddittorio. Proprio sulla base di tale prova documentale, che secondo il ricorrente non doveva essere utilizzata perché acquisita illegittimamente, i giudici avevano ritenuto opportuno raddoppiare, rispetto a quanto deciso in primo grado, il contributo mensile per il mantenimento dei figli a carico del padre.

Il marito, inoltre, rilevava che già nel corso del primo grado di giudizio – durante il quale erano state anche disposte ed espletate le indagini di polizia tributaria sui redditi, sul patrimonio e sul tenore di vita delle parti – era ben emerso il suo ruolo di "coadiuvante" svolto nell' impresa di famiglia e, ciononostante, il Tribunale aveva ritenuto opportuno disporre un assegno di mantenimento pari alla somma complessiva di euro 350,00.

 La Cassazione non condivide le difese formulate dal ricorrente, ritenendo il motivo di ricorso inammissibile.

I Supremi Giudici richiamano la giurisprudenza in tema di determinazione dell'assegno di mantenimento, ribadendo che tutti i provvedimenti necessari per la protezione dei figli, ivi compresi quelli di attribuzione e determinazione del quantum del contributo di mantenimento da porre a carico del genitore non affidatario, possono essere adottati dal giudice d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito: gli interessi morali e materiali della prole, infatti, hanno un rilievo pubblicistico tale da essere sottratti all'iniziativa e alla disponibilità delle parti, come confermato dagli articoli 6 comma 9 della legge di divorzio e dall'art. 155 comma 7 c.c.

Gli Ermellini rilevano come le summenzionate norme – disponendo che, in caso di contestazioni, il tribunale può disporre indagini sui redditi e patrimoni delle parti, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria e che i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed essere emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice – operano una chiara deroga alle regole generali sull'onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica.

Logico corollario di tale premessa è che le istanze delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell'assegno divorzile o del contributo di mantenimento non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte dell'istante, degli assunti sui quali le richieste sono basate (Cass. sez. 1^, sent. 03.07.1996, n. 6087), tutte quelle volte che il giudice sia comunque in condizione di desumere aliunde l'attendibilità del dato (anche se) prospettato dalla parte".

Compiute queste precisazioni, la Cassazione rileva come non può essere censurata la sentenza di merito nella parte in cui ha posto a fondamento della propria decisione i risconti ottenuti dalla relazione investigativa tardivamente depositata, vieppiù se suddetti riscontri siano confermati dagli esiti degli accertamenti compiuti d'ufficio dal giudice. Pertanto, rigetta il ricorso del padre condannandolo al pagamento delle spese di lite.

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