Scritto da Ida Germani.
L´esercizio del potere del datore di lavoro di modificare le mansioni assegnate al proprio dipendente con il contratto di lavoro (cosiddetto jus variandi), è disciplinato dall´art. 2103 del codice civile.
A seguito dell´entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2015 (decreto attuativo del Jobs Act), la norma è stata modificata con l´espressa previsione delle ipotesi in cui è legittimo il demansionamento del lavoratore.
Tali ipotesi sono:
1) modifiche degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del dipendente.
In tali casi, il lavoratore può essere assegnato a mansioni che appartengono al livello di inquadramento inferiore se queste rientrano nella medesima categoria legale del dipendente.
Pertanto, affinché l´assegnazione del lavoratore alle mansioni inferiori sia legittima, è necessario che il datore di lavoro rispetti la categoria legale di appartenenza del dipendente: il livello di inquadramento inferiore deve pur sempre essere ricompreso nelle rispettive categorie di "quadro", "impiegato" e "operaio".
Quindi, Tizio, contrattualmente assunto per lo svolgimento delle mansioni di III livello ricomprese nella categoria di "impiegato", ben potrà essere adibito alle inferiori mansioni di IV livello della medesima categoria di "impiegato", ma non a quelle appartenenti alla categoria di "operaio".
2) Ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni del livello di inquadramento inferiore, appartenenti alla medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi (la norma non specifica se di livello nazionale o anche di livello aziendale).
In tali ipotesi 1) e 2), la norma stabilisce che il mutamento di mansioni deve essere comunicato per iscritto, a pena di nullità.
Inoltre, in tali ipotesi, il lavoratore ha diritto alla conservazione del trattamento retributivo in godimento, con la perdita dei soli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
3) Infine, il lavoratore e il datore di lavoro possono stipulare presso le sedi di conciliazione o di certificazione (cosiddette "sedi protette") degli accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento, e della relativa retribuzione, a condizione che l´accordo sia concluso nell´interesse del lavoratore a migliorare le proprie condizioni di vita, ad acquisire una diversa professionalità o a conservare la sua occupazione.
Al di fuori delle ipotesi di cui sopra, il lavoratore ha diritto ad essere assegnato alle mansioni proprie per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all´inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.
La norma ha eliminato il precedente riferimento alla clausola generale dell´equivalenza professionale in base alla quale il Giudice valutava la legittimità della modificazione unilaterale delle mansioni.
E´ stato osservato come, con tale modifica, si sia passati "dalla tutela dello specifico bagaglio di conoscenze ed esperienze acquisite nella fase pregressa del rapporto di lavoro ad una tutela della professionalità intesa in senso più generico, tarata sulla posizione formale occupata dal lavoratore in azienda, in virtù del sistema di inquadramento" (M. Brollo, "Disciplina delle mansioni", in F. Carinci, a cura di, "Commento al D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi", ADAPT University Press, 2015).
Il bene giuridico tutelato dalla norma non sarà più, dunque, la professionalità "acquisita", bensì la professionalità "classificata" (M. Brollo, op. cit.).
La nuova norma ha posto problemi relativamente all´ambito di applicazione temporale della stessa.
Le prime pronunce rese dalla Giurisprudenza di Merito, infatti, hanno fornito soluzioni contrastanti in ordine alla possibilità di risarcire i danni qualora il demansionamento abbia avuto inizio prima dell´entrata in vigore della riforma.
Con la sentenza n. 174/2015 del 30.11.2015, il Tribunale di Ravenna ha affermato che per porre un discrimine tra l´applicazione della previgente formulazione dell´art. 2103 c.c. e quella riformata dal D.Lgs. n. 81/2015 è necessario fare riferimento al momento in cui è iniziato il demansionamento del lavoratore, quale "fatto generatore del diritto allegato in giudizio".
Pertanto, se tale momento è antecedente all´entrata in vigore della nuova disciplina, si applicherà il vecchio testo dell´art. 2103 c.c.
Di contrario avviso è il Tribunale di Roma che, con sentenza 30.09.2015 n. 8195, afferma che il demansionamento costituisce un illecito "permanente" che si attua e si rinnova ogni giorno in cui il dipendente viene mantenuto a svolgere mansioni inferiori a quelle che egli, secondo il contratto e la legge, avrebbe il diritto di svolgere.
Pertanto, secondo il Tribunale la valutazione in ordine alla legittimità dell´adibizione a determinate mansioni, nello contesto aziendale, potrebbe essere ritenuta illegittima solo per il periodo precedente all´entrata in vigore della novella legislativa.
Mentre, lo stesso lavoratore potrebbe non ricevere alcun risarcimento con riferimento al periodo successivo al 25.06.2015.
Ida Germani, autore di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Perugia nell´anno 2006, e ha conseguito l´abilitazione alla professione forense nell´anno 2009. E´ iscritta all´ordine degli Avvocati di Cassino