di Pierluigi Battista *
Dalle liti tra vicini di casa fino a diritti civili e scuola. Diverbi, politici lenti, cavilli. Perché deleghiamo ai giudici la nostra vita quotidiana, mentre contestiamo continuamente che la giustizia non funziona.
Basta scorrere le cronache degli ultimi giorni per accorgersi che oramai la «giuridicizzazione» copre ogni dettaglio della nostra vita. È stato un giudice che nei giorni scorsi ha deliberato che il gasdotto Tap avesse via libera, è stato un giudice che ha stabilito che non è offensivo nei confronti degli studenti che onorano un´altra religione che una scuola potesse ricevere la benedizione pasquale. La scuola è diventata oramai un terreno fertilissimo per le controversie che finiscono nelle mani dei giudici a cui i cittadini consegnano le chiavi della decisione. Il Tar viene investito dalle denunce dei genitori che non sopportano i brutti voti dei figli e che esercitano un tale grado di tutela sulla prole costretta a studiare da coinvolgere l´autorità per dirimere controversie che in altri tempi nemmeno esistevano. Un´altra disputa, molto simile a quella che si è scatenata attorno alla benedizione pasquale, è quella che è divampata attorno al crocefisso da appendere in aula: resta da attendere una sentenza per qualche istanza giudiziaria sugli alberi di Natale e i presepi, siamo vicini, bisogna avere pazienza. C´è poi la sentenza che stabilisce criteri e modalità di quella che molti lettori del Corriere chiamano la «schiscetta» per gli studenti, e cioè la merenda da portare a scuola. Si può portarsi la merenda da casa? Che dice la legge? Come intasare le aule di giustizia dove tanto nessuno ha niente da fare, a parte degli arretrati da far vergogna?
Cani che abbaiano, panni stesi, merende, bocciature scolastiche. Inezie, che però disegnano un quadro in cui, scomparsi gli organi della «mediazione», i partiti, le associazioni, i sindacati, i comitati, i centri culturali, lasciano il singolo cittadino con l´unica «mediazione» oggi chiamata a decidere: la giustizia.
Un fenomeno che coinvolge le piccole cose, ma tocca temi importantissimi, da cui la politica fugge, affidando ai giudici il compito di decidere per lei che è incapace di farlo. Quando per esempio è stata approvata la legge sulle unioni civili tra le persone dello stesso sesso, si è deciso, per evitare lo scoglio di fratture politiche e insormontabili divergenze di vedute etiche, di mettere da parte la spinosa questione della stepchild adoption con la curiosa motivazione: tanto sarà la magistratura a decidere. E infatti è avvenuto proprio così: in mancanza di una legge, la magistratura interviene, ovviamente con forte soggettività interpretativa. La stessa cosa accade con la mancata legge sul «fine vita»: chi ha deciso se non un giudice il destino di Eluana Englaro?
Anche nel caso della legge sul «negazionismo», che stabilisce pene per chi addirittura nega l´esistenza storica dell´Olocausto e della Shoah, si è dato ai giudici il potere di stabilire ciò che si può scrivere da ciò che è vietato scrivere: e infatti molti storici che sono acerrimi nemici del negazionismo hanno protestato per una legge che li mette in un angolo e trasferisce alla magistratura il verdetto finale.
Ma queste sono cose maledettamente serie che fanno da cornice alla «giuridicizzazione» di ogni ambito della vita. La dilatazione estrema di accuse su presunti «abusi d´ufficio» da parte degli amministratori locali ne è un esempio evidente. Ma dalla scuola alla famiglia, dalla politica ai condomini, dalla disciplina dei cani nei parchi ai gasdotti, è tutto un appellarsi alla giustizia. Ma non si diceva che non funzionava?
*pubblicato su Corriere.it il 30.3.201u