Di Redazione su Domenica, 02 Dicembre 2018
Categoria: Scuola e Istruzione

"D'ora in poi tempo pieno!". Caro Luigi, la tua una bellissima idea però mancano 43.328 assunzioni e 1 miliardo e mezzo. Ma al ministero non sanno far di conto?"

«D'ora in poi, in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno!», ha solennemente assicurato il vicepremier Luigi Di Maio. Secondo il leader grillino, significa che i bambini potranno stare più tempo a scuola, avere un percorso di istruzione più lungo, che gli consenta di stare più con gli insegnanti e approfondire ancora di più le materie, e allo stesso tempo permetterà ai genitori che lavorano tutto il giorno di sapere che anche il pomeriggio il loro figlio starà a scuola con gli insegnanti e avrà un percorso formativo ancora più ricco. Nelle intenzioni si tratterebbe di una misura di welfare importante anche per gli insegnanti perché si sbloccherebbero duemila nuovi posti di lavoro nella scuola, e di questi circa il trenta per cento sarebbe in mobilità. Ovvero quella parte di insegnanti che per colpa della Buona Scuola sono stati "deportati" al Nord con un algoritmo che non si è mai capito, e che adesso, per esempio, potrebbero tornare verso il Sud. Quel Meridione dove ci sono meno scuole che offrono il tempo pieno rispetto al Nord.

I numeri parlano chiaro: il 50% delle classi sono in Piemonte, Lazio e Lombardia, il 14-15% in Puglia e Campania, in Sicilia siamo al 7%, solo in Campania mancano 8.000 docenti. Attualmente in Italia usufruiscono del tempo pieno meno del 40 per cento dei bambini da 6 a 11 anni. Ma la distribuzione cambia moltissimo da regione a regione, con adesioni record nelle grandi città dove sempre più famiglie optano per le 40 ore, cioè per la scuola dalle otto del mattino alle sedici con la mensa interna. In testa, un po' a sorpresa, il Molise (56,7 per cento). Male la Campania (18,1 per cento). Record negativo in Basilicata dove solo un bimbo su dieci mangia a scuola. E in Sicilia? Oggi le classi di scuola primaria che funzionano a tempo pieno (fino alle 16), nell'Isola, ammontano a poco più del 14 per cento e in provincia di Palermo, ad esempio, sono meno di 6 ogni cento i bambini che rimangono in istituto fino al pomeriggio. 

È evidente che, anche se non tutti i genitori scelgono di lasciare i figli alla scuola al pomeriggio perfino quando hanno già la possibilità di farlo, puntare davvero sul tempo pieno per tutti è un obiettivo da percorrere. Anzi, un segnale di civiltà. Peccato con il ritmo delle assunzioni in corso oggi i tempi siano molto lunghi: ci vorranno almeno vent'anni per raggiungere il risultato. Nonostante gli sforzi fatti in passato, in mezzo secolo di vita il tempo pieno nella primaria non è cresciuto sufficientemente in consensi delle famiglie, numero di iscritti e aumento di posti di docente, raggiungendo nel 2017-18, rispetto al dato complessivo nazionale, il 35,7 per cento di alunni iscritti. Pochi. Troppo pochi. Il proposito di allargare il sistema a tutti, lasciando ai genitori l'eventuale scelta se accettare o meno, va benissimo. E allora perché non dire, appunto, vogliamo assolutamente arrivare al tempo pieno per tutti, invece che dare per raggiunta una meta ancora lontana? 

Il problema vero è che per trasformare a tempo pieno tutte le 86.658 classi aperte oggi soltanto al mattino occorrerebbe aggiungere 43.328 docenti, e non i duemila previsti dall'emendamento alla legge di bilancio: con duemila maestre in più l'incidenza delle classi a tempo pieno salirebbe al 36,6 per cento, non al 100 per cento. Per non parlare dei costi: l'assunzione di quei 43.328 docenti, stando alle tabelle contrattuali, costerebbe quasi un miliardo e mezzo in più l'anno. Non basta: per offrire davvero il tempo pieno a tutti, naturalmente occorrono gli spazi didattici, di laboratorio e locali idonei per la mensa. Per alunni che trascorrono le otto ore a scuola serve il servizio di refezione, che attualmente è obbligatorio, per assicurare pasti caldi e dietetici. Ma locali attrezzati, laboratori e servizi di mensa sono a carico dei Comuni che, a quanto pare, non sarebbero stati neppure interpellati. Quanto alle maestre meridionali che potranno avere una cattedra vicino a casa dopo esser state "deportate" a causa dell'algoritmo, i numeri purtroppo restano impietosi: la maggioranza dei posti a disposizione è nelle regioni del Nord, mentre buona parte dei docenti sogna una cattedra in quelle del Mezzogiorno. Nessun algoritmo potrebbe mai capovolgere questa realtà.

Maria Di Benedetto - Insegnante e Vicaria IC "Portella della Ginestra" - Vittoria