Di Rosalia Ruggieri su Domenica, 22 Maggio 2022
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Custode di beni sequestrati, compenso: non si applicano i parametri dell’art. 2233 c.c.

 Con l'ordinanza n. 13193 dello scorso 27 aprile, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha fornito importanti precisazioni in merito al criterio da applicare per determinare il compenso dovuto ad un custode di beni sequestrati nell'ambito di un procedimento penale, escludendo che si possa far riferimento ai parametri dettati per i professionisti intellettuali dall'art. 2233 c.c..

Si è difatti specificato che "nella determinazione del compenso spettante al custode di beni sottoposti a sequestro penale, probatorio o preventivo, occorre tener conto, in primis, delle tariffe previste dal D.P.R. n. 115/2002 e, in difetto, degli usi locali, se esistenti. In assenza di usi locali, occorre applicare, analogicamente, il compenso previsto per fattispecie similari contemplate dalle tariffe o dagli usi locali di cui anzidetto".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da una società nominata custode di alcuni beni sottoposti a sequestro nell'ambito di un procedimento penale – volta ad ottenere il compenso per l'attività di custodia svolta.

 Il Tribunale di Napoli, nel determinare il compenso dovuto, non applicava il criterio equitativo, ma faceva ricorso a quelli previsti dall'art. 2233 c.c..

Secondo il giudicante, infatti, a seguito dell'emanazione del D.M. n. 265/2006 , non era più applicabile la disciplina transitoria prevista dall'art. 276 del D.P.R. n. 115/2002 e quindi non era possibile determinare l'indennità sulla base delle tariffe prefettizie ridotte secondo equità, ma occorreva, in forza dell'art. 5 del D.M. n. 265/2006, fare riferimento agli usi locali, come previsto dall'art. 58 del D.P.R. n. 115/2002 e, in mancanza di usi locali, ai criteri di cui all'art. 2233 c.c., comma 2, e dunque all'importanza dell'opera svolta dal custode.

Il custode proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 2233 c.c., sul presupposto che i criteri ivi indicati non fossero applicabili all'attività del custode.

La Cassazione condivide le doglianze sollevate dal ricorrente.

 La Corte ricorda che in tema di liquidazione dell'indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell'ambito di un procedimento penale, qualora il compendio sequestrato non rientri in alcuna delle categorie di beni indicati nel D.M. n. 265 del 2006, di approvazione delle tariffe, emesso in attuazione dell'art. 59 del D.P.R. n.115/2002, il giudice può applicare, in via analogica, la disciplina dettata per casi analoghi, in base alla similitudine fisica dei beni, non potendo trovare applicazione l' art. 2233 c.c., comma 1, che si riferisce esclusivamente alle professioni intellettuali.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano come la censura sollevata dal ricorrente sia fondata in quanto, alla luce del richiamato principio di diritto, il riferimento, operato dal Tribunale, ai criteri di cui all'art. 2233 c.c., è del tutto erroneo.

Alla luce di tanto, la Corte accoglie il ricorso, con cassazione della decisione impugnata e rinvio della causa al Tribunale di Napoli, in differente composizione, che provvederà a riesaminare la fattispecie e alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

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