Con la sentenza n. 5457 dello scorso 11 febbraio, la VI sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia inflitto ad uno uomo che, pur mantenendo la propria residenza con la madre, aveva di fatto convissuto per due mesi con la persona offesa.
Si è difatti specificato che accertata l'esistenza tra le parti di una relazione sentimentale stabile, diviene irrilevante la circostanza per cui una parte mantenga la residenza presso l'abitazione della propria madre anche durante la relazione: tale aspetto, infatti, costituisce un dato meramente formale, e dunque non decisivo, ai fini dell'accertamento di una situazione di mero fatto.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato dei reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate commessi in danno dell'ex convivente.
In particolare, all'esito delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, non contestate dall'imputato, anzi sostanzialmente confermate dal tenore dei messaggi telefonici intercorsi tra i due durante il loro rapporto, era emerso che la convivenza era stata instaurata in una prospettiva di stabilità e che le parti avevano conferito a tale loro relazione anche una visibile dimensione esterna, rendendola manifesta a soggetti estranei ai rispettivi nuclei familiari, quali il datore di lavoro della donna e i vicini di casa.
Per tali fatti, sia il Tribunale di Roma, all'esito del giudizio abbreviato, che la Corte d'appello di Roma, condannavano l'uomo alla pena di legge.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo eccepiva vizio di motivazione e erronea applicazione della legge penale per essere stato ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 572 c.p..
In particolare, l'imputato evidenziava come nessun rapporto di stabile convivenza, o di natura anche soltanto para-familiare, si era mai realizzato con la persona offesa, il cui rapporto sentimentale si era protratto per soli due mesi, senza l'instaurazione di quella stabile relazione di affidamento e solidarietà con progettualità, individuata dalla stessa Corte distrettuale quale presupposto del reato.
La difesa dell'uomo sottolineava, inoltre, come – così come riferito da alcuni testimoni e dalla stessa persona offesa – egli, abitualmente, risiedeva a casa della madre.
La Cassazione non condivide la censura prospettata.
La Corte premette che il delitto di maltrattamenti è configurabile anche in presenza di un rapporto familiare di mero fatto, desumibile dalla messa in atto di un progetto di vita basato sulla reciproca solidarietà ed assistenza, non necessariamente caratterizzato da una stabile convivenza.
Sotto un punto di vista oggettivo, la convivenza more uxorio è idonea a configurare il reato di cui all'art. 572 c.p., non essendo necessario che tale forma di convivenza abbia una certa durata, quanto piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l'esito di tale comune decisione; è necessario, quindi, che la relazione sentimentale, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l'insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza, assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.
In presenza di tali condizioni, integra il reato il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinino sofferenze fisiche o morali per il destinatario, realizzati in momenti successivi; in particolare, non è necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, a prescindere dalla circostanza che, durante lo stesso, siano riscontrabili nella condotta dell'agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte evidenzia come - accertata l'esistenza tra le parti di una relazione sentimentale stabile – diviene irrilevante la circostanza per cui il ricorrente aveva mantenuto la residenza presso l'abitazione della propria madre anche durante la relazione con la denunciante: tale aspetto, infatti, costituisce un dato meramente formale, e dunque non decisivo, ai fini dell'accertamento di una situazione di mero fatto.
In conclusione la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.