Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 08 Gennaio 2021
Categoria: Donne

Convivente maltrattata: nessuna condanna se la convivenza è durata solo dieci giorni

Con la sentenza n. 35997 dello scorso 16 dicembre, la III sezione penale della Corte di Cassazione, ha cassato una condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia inflitto ad uno uomo che, avendo convissuto solo dieci giorni con la compagna, di fatto non aveva avuto modo di porre in essere condotte vessatorie abituali necessarie per integrare il reato.

Si è difatti specificato che ciò che consente di ritenere integrato il reato di cui all'art. 572 c.p., distinguendolo dai singoli delitti di lesioni, ingiurie o minacce di cui eventualmente si compone è proprio l'abitualità, intesa come sistematicità delle suddette condotte cui necessariamente corrisponde lo stato di sofferenza fisica o morale cui il soggetto passivo è naturalmente esposto.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di maltrattamenti in famiglia commesso in danno della propria compagna, con la quale aveva instaurato un rapporto di convivenza da soli dieci giorni.

Per tali fatti, il Tribunale di Palermo, all'esito del giudizio abbreviato, condannava l'uomo alla pena di due anni e sei mesi di reclusione. 

 Appellando la sentenza di condanna, l'imputato lamentava la mancanza di un regime di vita abitualmente vessatorio in ragione del fatto che il rapporto di convivenza, iniziato appena dieci giorni prima, non avesse nella parte iniziale presentato, a detta della stessa vittima, episodi lesivi essendosi il prevenuto mostrato "premuroso e gentile" nei confronti della donna.

La Corte d'appello di Palermo confermava la pena inflitta: secondo i giudici, infatti, nonostante la convivenza si fosse instaurata da soli dieci giorni, di fatto si era instaurata una relazione more uxorio a tutti gli effetti, in quanto il progetto di vita condiviso tra l'imputato e la vittima unitamente alla loro convivenza, insieme anche ai figli della donna, era il naturale epilogo di una relazione sentimentale iniziata tre mesi prima.

Ricorrendo in Cassazione, la difesa dell'uomo eccepiva vizio di motivazione e erronea applicazione della legge penale per essere stato ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 572 c.p. in assenza di un accertamento sull'elemento costitutivo dell'abitualità della condotta.

In particolare, l'imputato evidenziava come nessun rapporto di stabile convivenza si era mai realizzato con la persona offesa, avendo gli stessi convissuto per soli dieci giorni, durante i quali – così come aveva dichiarato la donna – l'imputato non aveva posto in essere nessuna condotta maltrattante, con conseguente esclusione della serialità delle condotte maltrattanti e dello stesso concetto di abitualità richiesto ai fini del perfezionamento della fattispecie criminosa.

La Cassazione condivide la censura prospettata.

 La Corte premette che il reato di maltrattamenti in famiglia – quale ipotesi di reato necessariamente abituale – si caratterizza per la contemporanea sussistenza di fatti commissivi e omissivi, i quali acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo, perfezionandosi allorché si realizza un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità.

In particolare – sebbene non è necessario che gli atti vessatori vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione – ciò che consente di ritenere integrato il reato di cui all'art. 572 c.p., distinguendolo dai singoli delitti di lesioni, ingiurie o minacce di cui eventualmente si compone è proprio l'abitualità, intesa come sistematicità delle suddette condotte cui necessariamente corrisponde lo stato di sofferenza fisica o morale cui il soggetto passivo, in quanto legato all'aggressore dal vincolo familiare o parafamiliare implicante legami di natura affettiva, economica e solidale ben difficili da recidere, è naturalmente esposto.

Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come la Corte distrettuale - pur ritenendo che il rapporto instauratosi tra l'imputato e la vittima configurasse, indipendentemente dalla convivenza limitata a soli dieci giorni, una relazione more uxorio a tutti gli effetti, essendo il naturale epilogo di una relazione sentimentale iniziata mesi prima - non ha affrontato, sebbene avesse costituito oggetto di specifico motivo di appello, la questione dell'abitualità delle condotte vessatorie, destinata a rivestire un peso inequivocabile nella brevità del lasso temporale in cui si era materializzato il rapporto di fatto.

In conclusione, la Cassazione annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Palermo che dovrà, alla luce dei sovraesposti rilievi, procedere a nuovo esame sulla configurabilità del reato di maltrattamenti nei confronti della convivente.

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