Sull´argomento, di particolare attualità, si è espressa la Cassazione con sentenza n. 22662 del 2016 depositata in data 8 novembre con la quale è stato accolto il ricorso proposto da una Società datrice di lavoro che si è vista costretta a procedere al licenziamento di una sua dipendente la quale, a seguito di un controllo c.d. difensivo posto in essere a suo carico, era stata trovata a porre in essere un comportamento apertamente contrario alla salvaguardia del patrimonio aziendale.
Tale controllo, infatti, ha stabilito la Corte, non si pone in contrapposizione con nessun dettato legislativo nella misura in cui, come nel caso rimesso al suo esame, non è volto al controllo dell´esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma ad accertare comportamenti che si pongono in contrasto con le esigenze prioritarie di sicurezza e salvaguardia della ditta.
La questione
Il pronunciamento della Suprema Corte ha tratto origine dal licenziamento comminato ai danni di una dipendente, dichiarato illegittimo dai Giudici Territoriali, per avere la stessa sottratto dalla cassaforte aziendale una busta contenente denaro dalla cassaforte aziendale, sfilandola dalla fessura con un tagliacarte. La condotta era stata accertata mediante un filmato prodotto da una telecamera preposta al controllo della predetta cassaforte.
La Corte territoriale fondava la decisione sul rilievo che l´installazione dell´impianto audiovisivo, pur astrattamente legittima ex art. 4 c. II legge 300/1970, in quanto sorretta dalle esigenze dedotte dalla società (tutela dei beni aziendali, nonché tutela della sicurezza dei lavoratori operanti in reception vicino a un possibile obiettivo di malintenzionati), avrebbe richiesto il previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna o, in mancanza di accordo, l´autorizzazione dell´Ispettorato del lavoro. E ciò in quanto, ancorché non diretta al controllo a distanza della prestazione lavorativa delle addette alla reception, consentiva il controllo degli spostamenti dei dipendenti nell´ambiente di lavoro. In mancanza delle prescritte autorizzazioni, quindi, il filmato era da ritenere inutilizzabile e, eliminando lo stesso dal materiale probatorio, pur in presenza della prova dell´ammanco di denaro, veniva a mancare la prova della addebitabilità alla dipendente del fatto contestato.
Per la riforma della sentenza in questione proponeva ricorso per cassazione la società datoriale.
La decisione della Suprema Corte
La questione sottoposta all´attenzione dei Supremi Giudici, da parte della società, concerneva dunque i limiti di legittimità dei c.d. controlli difensivi, controlli finalizzati non già a verificare l´esatto adempimento delle obbligazioni direttamente scaturenti dal rapporto di lavoro, ma a tutelare beni del patrimonio aziendale e ad impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti.
I suddetti controlli, ex art. 4 comma 2 Statuto dei Lavoratori, nel testo vigente all´epoca dei fatti, avrebbero richiesto, hanno sottolineato i Giudici di Piazza Cavour, il "previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna" ma solo nel caso in cui da essi "derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell´attività dei lavoratori" .
In tema di controllo del lavoratore, hanno però aggiunto i Giudici di Cassazione, "le garanzie procedurali imposte dall´art. 4, secondo comma, della legge n. 300 del 1970, espressamente richiamato dall´art. 114 del d.lgs. n. 196 del 2003, per l´installazione di impianti e apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, dai quali derivi la possibilità di verifica a distanza dell´attività dei lavoratori, trovano applicazione ai controlli, c.d. difensivi, diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l´esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, invece, quando riguardino la tutela di beni estranei al rapporto stesso.
Esula quindi dal campo di applicazione della norma il caso in cui il datore abbia posto in essere verifiche dirette ad accertare comportamenti del prestatore illeciti e lesivi del patrimonio e dell´immagine aziendale.
Dunque, nel caso in esame, la Cassazione ha accolto il ricorso della Società proprio alla luce di queste ultime considerazioni.
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