Di Rosalia Ruggieri su Sabato, 11 Luglio 2020
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Contenzioso tributario, compenso: nel valore della causa non si considerano sanzioni e interessi

Con l'ordinanza n. 12640 dello scorso 25 giugno, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un legale che, dopo aver patrocinato una società in un contenzioso insorto con l'Agenzia delle entrate, si doleva perché i giudici di merito, nel determinare l'ammontare del valore della pratica, si erano basati sull'importo delle sole imposte dovute dalla società, senza tenere conto anche delle sanzioni.

La Cassazione ha, di contro, ritenuta corretta la decisione del giudice di appello che, in applicazione del D.M. n. 585 del 1994, aveva ritenuto che, per determinare il compenso, il valore della controversia da considerarsi fosse quello relativo alle maggiori imposte richieste a seguito del verbale di accertamento.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale, volta ad ottenere il compenso ad esso spettante per alcune prestazioni di assistenza legale svolte in favore di una società e relative a un contenzioso insorto con l'Agenzia delle entrate, scaturito da una verifica fiscale e dalla successiva contestazione di violazioni di disposizioni tributarie e poi chiuso con accordo transattivo. 

La società – cui era intimato il pagamento di Euro 1.273.538,00 – si opponeva alla richiesta del legale, in virtù dell'esistenza tra le parti di un accordo in base al quale i compensi per le prestazioni professionali rese dalla convenuta dovevano essere liquidati in base a una tariffa oraria (essendo il legale un socio della società) o in base al valore della controversia, tenuto conto che le prestazioni riguardavano un periodo di tempo circoscritto tra novembre 2002 e febbraio 2003.

Il Tribunale di Milano accoglieva l'opposizione al decreto ingiuntivo, disponendone la revoca, e determinava il compenso spettante al legale nella somma di Euro 180.117,70.

La decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Milano.

Ricorrendo in Cassazione, il legale eccepiva violazione e falsa applicazione degli articoli 10,11,112,115 e 167 del codice di procedura civile nonché dell'articolo 2233 del codice civile in relazione al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 relativo al regolamento di approvazione delle deliberazioni del Consiglio Nazionale Forense sulla determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati ed ai procuratori legali per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali.

A tal fine il ricorrente si doleva per aver la Corte d'appello determinato l'ammontare del compenso sulla base del valore delle sole imposte dovute dalla società, senza tenere conto che, per la determinazione del valore della pratica, bisognava tener conto anche delle sanzioni posto che, nel caso di specie, sin dai primi atti di accertamento, l'Amministrazione finanziaria aveva fatto menzione delle sanzioni da irrogare in relazione a ciascuna violazione contestata. 

La Cassazione non condivide le doglianze sollevate del ricorrente.

La Corte premette che il D.M. n. 585 del 1994 (Regolamento recante approvazione della Deliberazione del Consiglio Nazionale Forense del 12 giugno 1993, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati e ai procuratori legali per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali) si occupa dell'assistenza in pratiche in materia tributaria all'articolo 5, comma 6, il quale specifica che ai fini della determinazione del compenso in siffatte materia "si ha riguardo al valore dell'imposta, tassa o contributo richiesti con il limite di un quinquennio in caso di oneri poliennali". 

Nel caso di specie, quindi, il giudice d'appello ha correttamente applicato la norma, ritenendo che il valore da considerare fosse quello relativo alla maggiori imposte richieste a seguito del verbale di accertamento.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della società controricorrente e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso. 

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