Con la sentenza n. 23328 dello scorso 19 settembre, la III sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di consenso informato, ha ritenuto che il consenso prestato mediante l'apposizione di una firma su un modulo prestampato e generico fosse lesiva diritto all'autodeterminazione del paziente, posto che "in tema di attività medico-chirurgica, infatti, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all'uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico".
I chiarimenti operati dalla Cassazione prendono spunto dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da una donna, affetta da emorroidi di secondo grado, avverso il sanitario che l'aveva convinta ad operarsi, nonostante un quadro clinico non preoccupante, prospettando un intervento non impegnativo.
La deducente evidenziava come, a seguito di alcune complicanze intervenute nel corso del primo intervento, era costretta a subire numerosi altri interventi, alcuni eseguiti senza la preventiva acquisizione del consenso informato. A causa di una sintomatologia fortemente dolorosa, la paziente si sottoponeva ad una visita specialistica presso un differente professionista che la operava nuovamente, senza tuttavia riuscire a porre rimedio ai danni cagionati dai precedenti interventi che le avevano seriamente compromesso la possibilità di restaurare la funzione rettale; la donna lamentava, inoltre, importanti danni alla persona legati al forte carico di dolore fisico e psichico, oltre alla rinunzia ad ogni rapporto sessuale e la conseguente crisi del matrimonio, sfociata nella separazione dal marito.
Alla luce di tanto, oltre al risarcimento dei danni legati alla scorretta esecuzione degli interventi, l'attrice deduceva anche la violazione del consenso informato, posto che si era limitata a firmare un modulo prestampato dal contenuto generico, privo di qualsiasi personalizzazione.
Il Tribunale di Firenze, accertata la responsabilità dell'imperito professionista, lo condannava al risarcimento dei soli danni alla salute.
Anche la Corte d'Appello di Firenze negava qualsiasi ristoro connesso al consenso informato: i giudici confermavano la validità del consenso espresso, sia pure sulla base di un modulo prestampato dal contenuto generico, e, nel rigettare le altre richieste risarcitorie avanzate dalla donna, rimarcavano come la paziente non aveva provato che, se fosse stata adeguatamente informata, avrebbe rifiutato di sottoporsi all'intervento.
Ricorrendo in Cassazione, la paziente evidenziava come la decisione impugnata fosse in contrasto con l'orientamento di legittimità che ritiene insufficiente la sottoscrizione di un modulo di consenso informato del tutto generico.
In seconda istanza rilevava l'errore compiuto dalla Corte di merito in relazione al mancato riconoscimento della tutela alla libertà di autodeterminazione del paziente, quale autonoma voce risarcitoria che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, non avrebbe richiesto la prova da parte del paziente che, se compiutamente informato, avrebbe rifiutato l'intervento; ad ogni modo, la ricorrente rilevava di aver precisato, nell'atto di appello, che non si sarebbe sottoposta all'operazione, come ogni altra persona dotata di un minimo di raziocinio, anche perché si trattava di un intervento non necessario.
La Cassazione condivide le censure rilevate.
La Corte ricorda che è violato il principio dell'inadeguatezza del consenso e, prima ancora, della informazione, qualora il consenso sia prestato apponendo la firma su un modulo prestampato e generico: in tema di attività medico-chirurgica, infatti, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell'intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all'uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell'informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini specificano come, in considerazione del carattere riparatorio degli interventi chirurgici successivi al primo e che si inserivano nell'ambito di un pregiudizio già verificatosi, il profilo relativo alla preventiva informazione non poteva non assumere un carattere particolarmente pregnante, dovendosi tradurre in comunicazioni dettagliate e specifiche, al fine di consentire alla paziente di conoscere gli esatti termini della patologia determinata dai pregressi interventi e le concrete prospettive di superamento di quelle criticità.
Alla luce di tanto, le generiche indicazioni fornite dai sanitari prima del primo intervento erano del tutto inidonee a informare compiutamente la paziente, con correlativa lesione del diritto all'autodeterminazione.
Da ultimo la Corte ricorda come, nel caso di specie, non incombesse sulla paziente danneggiata l'onere di dimostrare che, se adeguatamente informata, avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento: tale principio, infatti, opera nell'ipotesi di intervento correttamente eseguito e non anche nel caso di plurimi interventi riparatori successivi dal primo e dall'esito non risolutivo.
In conclusione, la Cassazione accoglie il ricorso.