Di Redazione su Mercoledì, 18 Novembre 2015
Categoria: Giurisprudenza Consiglio di Stato

Cons. Stato Sez. IV, 17/11/2015, n. 5228

La nullità del provvedimento amministrativo ha carattere eccezionale (art. 21 septies Legge 7 agosto 1990, n. 241) (Riforma della sentenza del T.a.r. Campania, Napoli, sez. V, n. 3212/2014).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7634 del 2014, proposto da:

Consorzio A.P. di B. s.c.a.r.l. in liquidazione coatta amministrativa in persona del commissario liquidatore e legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall´avv. Giuseppe Iannelli, con domicilio eletto presso Enrico Ferranini in Roma, Via Fornovo, 3;

contro

Comune di Amorosi, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall´avv. Carlo Maria Iaccarino, con domicilio eletto presso Carlo Iaccarino in Roma, Lungotevere Marzio, 3;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Campania - Napoli: Sezione V n. 03212/2014, resa tra le parti, concernente espropriazione per pubblica utilità - risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l´atto di costituzione in giudizio del Comune di Amorosi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell´udienza pubblica del giorno 22 settembre 2015 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Iannelli e Iaccarino;

Svolgimento del processo

Il Consorzio A.P. di B. società cooperativa a r.l. era proprietario di immobili nel territorio di Amorosi, interessati dal progetto di riqualificazione ambientale e risanamento urbanistico dell´area urbana approvato dall´Amministrazione comunale nel 1995.

L´area è stata occupata a seguito del decreto del Sindaco n. 3 del 31 maggio 1996 ed espropriata con provvedimento comunale n. 3 del 2 ottobre 2001.

Sul presupposto che l´esproprio sarebbe avvenuto dopo la scadenza sia dei termini per il completamento della procedura espropriativa, previsti dall´art. 13 della L. n. 2359 del 1865 e stabiliti in cinque anni dalla data di approvazione del progetto, sia del termine quinquennale fissato nel decreto di occupazione d´urgenza, il Consorzio ha agito in giudizio contro il Comune per l´accertamento della nullità del decreto di occupazione o, in subordine, per l´annullamento di questo, per l´accertamento dell´intervenuta occupazione acquisitiva da parte del Comune e per il risarcimento del danno sofferto.

Con sentenza 9 giugno 2014, n. 3212, il T.A.R. della Campania, sez. V, ha dichiarato inammissibile il ricorso, considerato meramente risarcitorio, per originaria carenza di interesse, non avendo il Consorzio impugnato tempestivamente il decreto di esproprio che, adottato fuori termine, sarebbe illegittimo e non radicalmente nullo.

Quanto alla sorte del bene, non avendo l´occupazione acquisitiva cittadinanza nel nostro ordinamento, rimarrebbe al Comune l´alternativa fra la restituzione e l´acquisizione a norma dell´art. 42 bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (c.d. testo unico dell´espropriazione per pubblica utilità; d´ora in poi: t.u.).

Il Consorzio ha interposto appello contro la sentenza, che avrebbe considerato in termini non corretti il contenuto del ricorso introduttivo, in realtà volto a chiedere la dichiarazione di nullità del provvedimento comunale o, in alternativa, il suo annullamento, nel solco delle tesi alternative della nullità radicale o della semplice illegittimità del decreto di esproprio emesso a termini scaduti.

Anche se così non fosse, peraltro, sarebbe stato compito del giudice qualificare la domanda in base ai suoi elementi sostanziali, in applicazione dell´art. 32, comma 2, c.p.a., e pronunziarsi nel merito su un ricorso che comunque dovrebbe considerarsi tempestivo, perché il decreto impugnato non sarebbe mai stato notificato all´appellante, ma da questo conosciuto solo accidentalmente e immediatamente impugnato, con ricorso notificato il 22 febbraio 2002 e depositato il successivo 28 febbraio.

In punto di fatto, la tardività dell´esproprio sarebbe incontestabile, sebbene, a causa di alcune ambiguità lessicali degli atti del Comune, si possa dubitare che il termine prendesse a decorrere dalla data della dichiarazione di pubblica utilità (adozione della delibera del Consiglio comunale n. 1 del 18 febbraio 1995) o dal giorno dell´immissione in possesso (21 agosto 1996). Peraltro, anche nell´ipotesi meno favorevole alla parte privata, il termine sarebbe spirato il 21 agosto 2001, a fronte di un decreto di esproprio datato 2 ottobre dello stesso anno.

Da ciò, dunque, deriverebbe la nullità o l´illegittimità del provvedimento impugnato.

Poiché, in base all´evoluzione della giurisprudenza, l´irreversibile trasformazione del suolo occupato non potrebbe mai determinarne, da solo, l´acquisizione da parte dell´Amministrazione, l´occupazione da parte del Comune costituirebbe un illecito permanente. Il Comune dovrebbe perciò restituire l´area, dopo averla rimessa in pristino, ovvero - nel termine assegnato dal giudice - acquisirla, consensualmente o nell´esercizio del potere previsto dall´art. 42 bis t.u.

Indipendentemente dalla scelta fatta dal Comune a questo riguardo, il Consorzio reclama il risarcimento dei danni già prodottisi in conseguenza dell´occupazione illegittima.

Con ordinanza 5 febbraio 2015, n. 573, la Sezione ha disposto istruttoria per acquisire il fascicolo del giudizio di primo grado.

Essendo questo andato verosimilmente smarrito, la Sezione ne ha ordinato la ricostruzione con ordinanza 10 giugno 2015, n. 2843.

Le parti hanno adempiuto, depositando la documentazione richiesta.

Il Comune di Amorosi si è costituito in giudizio per resistere all´appello sostenendo:

1. il difetto di giurisdizione del G.A. in favore del G.O.;

2. l´inammissibilità della domanda di accertamento dell´avvenuta occupazione acquisitiva, fattispecie estranea al nostro ordinamento. Il tentativo svolto in primo grado dal Consorzio appellante di riconfigurare la domanda di accertamento come implicitamente contenente anche una domanda restitutoria sarebbe tardivo (perché effettuato solo con memoria illustrativa prima della discussione) e vano (perché le due azioni sarebbero radicalmente diverse);

3. in subordine, l´infondatezza della domanda di accertamento della nullità del decreto di esproprio tardivamente adottato, che non troverebbe fondamento in alcuna norma di diritto positivo;

4. in ulteriore subordine, l´infondatezza della quantificazione del danno fatta dalla controparte, che andrebbe comunque decurtata dalle somme già depositate a titolo di indennità di occupazione e di esproprio.

All´udienza pubblica del 22 settembre 2015, l´appello è stato nuovamente chiamato e trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall´art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.

2. Nella pubblica udienza, le parti hanno discusso della ritualità e della tempestività della costituzione in giudizio del Comune e dell´eccezione di difetto di giurisdizione, che l´ente ha sollevato come prima delle sue difese.

Il Collegio non ritiene necessario approfondire i profili così evocati, perché l´appello è fondato nel merito.

3. Secondo il Comune, il decreto di espropriazione di cui si tratta sarebbe nullo per essere stato adottato dopo la scadenza del termine quinquennale di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità. Seguirebbe da ciò, secondo l´orientamento della Corte di cassazione, la giurisdizione del G.O.

Si tratta di una prospettazione che non può essere condivisa.

Il Collegio è consapevole dell´indirizzo adottato dalla Corte di cassazione sulle questioni analoghe a quella qui trattata, come pure delle oscillazioni che segnano, in materia, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, riferite però spesso a fattispecie non del tutto omogenee e talvolta - forse - influenzate anche dalle peculiarità delle singole vicende concrete.

3.1. Nel caso di specie, il Collegio ritiene di poter argomentare nei termini che seguono.

La norma base è quella dell´art. 21 septies, comma 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241, secondo la quale "è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge".

In linea di principio, l´indirizzo del Consiglio di Stato è consolidato nel ritenere che la nullità del provvedimento abbia carattere eccezionale (sez. V, 16 febbraio 2012, n. 792, sottolinea come le categorie della nullità e annullabilità, quali vizi che inficiano un atto giuridico costituente manifestazione di volontà, si presentino nel diritto amministrativo in relazione invertita rispetto alle omologhe figure valevoli per i negozi giuridici di diritto privato) e che il "difetto assoluto di attribuzione", quale causa di nullità del provvedimento amministrativo, evochi la cosiddetta carenza di potere in astratto, vale a dire l´ipotesi in cui l´Amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 2007, n. 2273; Id., sez. V, 2 novembre 2011, n. 5843; Id., sez. VI, 27 gennaio 2012, n. 372; Id., sez. V, 30 agosto 2013, n. 4323; Id., sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5266). Fattispecie, questa, assolutamente residuale, tanto da aver condotto all´affermazione che, ricostruito in questi termini, il difetto assoluto di attribuzione rappresenti, in definitiva, un caso di scuola (Cons. Stato, sez. VI, n. 5266 del 2013, cit.).

3.2. Con riguardo alla controversia in esame, il Collegio è dell´avviso che non sia in discussione l´astratta titolarità del potere (certo di spettanza dell´ente comunale), ma le concrete modalità del suo esercizio. Nella controversia non viene genericamente in gioco un generico interesse pubblico o, per altro verso, un comportamento di mero fatto della P.A., ma a un comportamento riconducibile - se si vuole, mediatamente - all´esercizio di un pubblico potere. Sussiste perciò la condizione per l´affidamento della giurisdizione al G.A. in coerenza con il quadro costituzionale vigente, secondo la ricostruzione che ne ha fatta la Corte costituzionale (sentenze 6 luglio 2004, n. 204, e 11 maggio 2006, n. 191).

In altri termini: poiché l´Amministrazione è resa dalla legge effettiva titolare del potere, ma questo è stato esercitato in assenza dei suoi necessari presupposti, non si è in presenza di un difetto assoluto di attribuzione. In tal caso, è l´esercizio del potere a essere viziato, ma non si pone questione di sua esistenza, cosicché il provvedimento deve considerarsi annullabile, non già nullo, capace di "degradare" la situazione soggettiva del privato e soggetto alla giurisdizione del G.A. (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 372 del 2012, cit.; Id., sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4281; Id., sez. IV, 18 novembre 2014, n. 5671; da ultimo T.A.R. Toscana, sez. I, 8 settembre 2015, n. 1211).

Si aggiunga infine che la stessa giurisprudenza più recente delle Sezioni unite afferma la riconducibilità all´esercizio di un pubblico potere quando - come nel caso di specie - l´occupazione inizia, dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in virtù di un decreto di occupazione d´urgenza, e prosegue dopo la sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità. E ciò, sul decisivo presupposto del "concreto esercizio del potere ablatorio, riconoscibile per tale in base al procedimento svolto ed alle forme adottate, in consonanza con le norme che lo regolano, pur se poi l´ingerenza nella proprietà privata e la sua utilizzazione siano avvenute senza alcun titolo che le consentiva" (ordinanza 27 maggio 2015, n. 10879).

In conclusione, non vi è motivo per dubitare della sussistenza della giurisdizione in capo al G.A.

4. Il Tribunale territoriale ha dichiarato inammissibile il ricorso sulla premessa della mancata impugnazione del definitivo decreto di esproprio.

Come appare dalle carte, la premessa è errata in punto di fatto, avendo il Consorzio dedotto la nullità e, in subordine, l´illegittimità del provvedimento.

A questo riguardo, il Comune deduce l´inammissibilità della domanda di accertamento dell´avvenuta occupazione acquisitiva del bene e il suo tardivo mutamento e irrituale mutamento in domanda restitutoria.

La difesa non è risolutiva. Il ricorso introduttivo risale al 2002 e non poteva non tenere conto del diritto vivente all´epoca che - prima dei ben noti interventi giurisprudenziali e legislativi - a quell´istituto dava piena cittadinanza. Il ricorrente si è poi conformato al ius superveniens adeguando la propria domanda con modalità ritenute espressamente corrette dal Comune di Amorosi nella memoria di replica depositata il 9 maggio 2014. in punto di danno risarcibile

5. In conclusione, il decreto di esproprio impugnato era incontestabilmente illegittimo perché tardivo. In accoglimento dell´appello del Consorzio, esso va dunque annullato.

Di conseguenza, il Comune, dovrà restituire il bene previa riduzione in pristino, fermo restando l´obbligo di risarcire il danno secondo i criteri di legge, o farne acquisto con atto di compravendita o ancora - ma solo come extrema ratio, quando cioè non sussistano "ragionevoli alternative", da valutarsi secondo "uno stringente onere motivazionale" - adottare un provvedimento di acquisizione sanante a norma dell´art. 42 bis t.u. (secondo la lettura che ne dà Corte costituzionale, 30 aprile 2015, n. 71, conclusivamente al par. 6.9.1.).

Nelle fasi successive della vicenda le parti valuteranno le questioni sollevate dal Comune con la propria quarta difesa in punto di danno risarcibile.

6. Dalle considerazioni che precedono discende che l´appello è fondato e va pertanto accolto, con annullamento della sentenza impugnata e accoglimento del ricorso di primo grado.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell´art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Le spese seguono la soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull´appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l´effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado nei sensi e con le conseguenze esposte in motivazione.

Condanna il Comune soccombente al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida nell´importo di Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall´autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2015 con l´intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore