Con la sentenza n. 6961 dello scorso 11 marzo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno confermato la sanzione disciplinare inflitta ad un legale che, dopo aver reso un parere stragiudiziale su un possibile licenziamento, si era reso domiciliatario e aveva sostituito in udienza il difensore del lavoratore nella causa di licenziamento oggetto di quel parere.
Si è, difatti, ritenuto integrato il conflitto di interessi, posto che, l'attività di domiciliazione deve essere svolta rispettando i canoni di lealtà e correttezza imposti per l'intera attività professionale; anche il sostituto di udienza è tenuto al rispetto degli obblighi spettanti al mandante, sia sotto il profilo del rispetto del generale canone di comportamento dettato dall'art. 6 sia sotto il profilo della necessità di evitare attività che lo pongano in situazione di conflitto di interesse col rappresentato.
Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio da un esposto presentato da una società verso un legale, in relazione all'asserita violazione dell'art. 37 del codice deontologico forense per un conflitto di interessi.
In particolare, l'esponente deduceva di aver interpellato l'avvocato in ordine a una complessa vicenda riguardante anche una sua dipendente; l'avvocato aveva fornito un parere legale concernente, tra l'altro, le inadempienze della dipendente alle conseguenti obbligazioni, prospettando la possibilità di un licenziamento della stessa; intervenuto il licenziamento, la dipendente lo aveva impugnato dinanzi al Tribunale di Milano, assistita un avvocato di Roma, che si era domiciliato presso lo studio dell'avvocato che aveva fornito il parere; quest'ultimo, a causa di un improvviso impedimento del legale romano, lo aveva anche sostituito in udienza.
Per tali fatti, il COA di Milano, ravvisata la responsabilità del ricorrente, infliggeva la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per quattro mesi.
Il Consiglio Nazionale Forense rilevava come l'avvocato incolpato avesse dedicato, con puntuale argomentazione, uno specifico paragrafo del suo parere sulla licenziabilità della dipendente; sotto altro aspetto si sottolineava come, anche nella veste di domiciliatario, l'avvocato doveva uniformarsi ai doveri di lealtà, correttezza, imparzialità e indipendenza; con specifico riferimento al ruolo svolto quale sostituto in udienza, si evidenziava come lo stesso, lungi dall'essere un mero portavoce del dominus, ben poteva svolgere, senza limiti oggettivi, l'attività di stretta spettanza del dominus, sicché doveva ritenersi soggetto agli stessi vincoli incombenti sul mandante, ivi inclusi quelli legati ad un conflitto di interessi.
Sulla base di tali premesse, la sanzione inflitta veniva totalmente confermata.
Il legale, ricorrendo in Cassazione, deduceva violazione e falsa applicazione delle norme del codice deontologico forense dedicate al generale dovere di lealtà e correttezza e al conflitto di interessi.
In particolare, il ricorrente eccepiva che – mentre il conflitto di interessi deve essere effettivo, attuale e concreto e consistere nel conferimento di un mandato professionale – nel caso di specie, si era trattato di un conflitto meramente potenziale e di una singola, estemporanea, eccezionale e giustificata occasione.
In relazione ai fatti storici, si difendeva deducendo di non aver reso alcun parere sulla specifica posizione della dipendente, in quanto alla stessa avrebbe fatto solo un breve incidentale accenno in un parere avente un diverso oggetto, e di non aver assunto alcun incarico professionale in relazione alla causa promossa da quest'ultima contro l'esponente, avendo svolto unicamente un'estemporanea sostituzione all'udienza per l'improvviso impedimento del suo avvocato di Roma; sosteneva, inoltre, che la domiciliazione non integrasse "attività professionale", trattandosi di una mera domiciliazione topografica, priva di ogni requisito oggettivo e soggettivo di professionalità.
Le Sezioni Unite non condividono le tesi difensive del ricorrente.
Gli Ermellini condividono la ricostruzione dei fatti prospettata nella decisione resa dal CNF con motivazione reale e dettagliata: l'accertamento compiuto, infatti, ha valutato il comportamento complessivo del legale con l'esponente, per concludere che il ruolo avuto – prima di assistenza nella fase stragiudiziale e poi, intervenuta la fase contenziosa, di domiciliatario e sostituto in udienza del patrocinatore della controparte in relazione proprio alla controversia (impugnativa di licenziamento) relativa alla stessa questione sulla quale aveva prestato assistenza – integrasse una violazione dei doveri di lealtà e correttezza.
Altrettanto correttamente il CNF ha ritenuto, in punto di diritto, che l'attività di domiciliazione deve essere svolta rispettando i canoni di lealtà e correttezza imposti per l'intera attività professionale e che l'attività di sostituzione di udienza non è paragonabile a quella del mero nuncius, in quanto il sostituto si trova a svolgere, autonomamente, la stessa attività di patrocinio che in quella determinata udienza farebbe carico al dominus: in virtù di tanto, anche il sostituto di udienza è tenuto al rispetto degli obblighi spettanti al mandante, sia sotto il profilo del rispetto del generale canone di comportamento dettato dall'art. 6 sia sotto il profilo della necessità di evitare attività che lo pongano in situazione di conflitto di interesse col rappresentato.
La sentenza di merito viene dunque confermata; la Cassazione rigetta il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.