E´ legittimo il licenziamento del dipendente che divulga notizie strettamente riservate e interne all´ azienda, al fine di mettere in cattiva luce la società concorrente.
Questo è quanto stabilito dalla sentenza n. 13922/17, emessa dalla sezione Lavoro della Suprema Corte, adita dal manager di una ditta di trasporti, che veniva licenziato per avere diffuso notizie diffamatorie e lesive dell´immagine della società concorrente, fatto di cui era stato chiamato a rispondere civilmente il datore di lavoro, che ha dovuto risarcire la concorrenza.
Il manager, ricevuto il licenziamento dalla ditta presso cui lavorava, lo impugnava innanzi al Tribunale di Ancona, ottenendo accoglimento della domanda. Adita la Corte d´Appello della stessa città, dalla ditta datrice di lavoro, questa vedeva accolto il suo reclamo, e così riformata l´ordinanza di primo grado, ottenendo il rigetto della domanda del manager per aver divulgato le informazioni di un´email riservata e strettamente confidenziale, inviatagli dal direttore, che indicava una strategia commerciale volta a di incremento della clientela.
L´uomo si rivolgeva quindi, ai giudici della Suprema Corte con le seguenti contestazioni. L´ interpretazione dei contenuti della contestazione disciplinare violava l´art. 1362 cod.civ., in quanto nelle due comunicazioni gli veniva addebitata la diffusione non autorizzata di notizie tratte dal sito internet e non la divulgazione di una mail aziendale riservata.
Eccepiva poi, la violazione dell´ 1366 cod.civ., che impone di interpretare la contestazione, tutelando il ragionevole affidamento del lavoratore su quelli che sarebbero stati i precisi comportamenti di cui era chiamato a rispondere.
In caso di dubbio, poi, la Corte di merito avrebbe dovuto fare ricorso al criterio della interpretazione contro l´autore della clausola, e a favore di chi la subisce contenuto nell´ art. 1370 cod.civ., essendo la contestazione disciplinare un atto unilaterale. Interpretazione che, vista la soccombenza del manager, in sede di merito, era stata disattesa.
Denunziava per ultima, l´aver fatto valere, in causa, una condotta del dipendente diversa da quella contestata nella sede disciplinare costituiva violazione del principio di immodificabilità della contestazione degli addebiti.
Secondo la Cassazione, la Corte di merito ha ritenuto essere oggetto di contestazione nella sede disciplinare, l´aver trasmesso, senza autorizzazione a ben 84 clienti della società concorrente, di comunicazioni interne idonee a ledere l´immagine commerciale della ditta concorrente. L´interpretazione data era conforme al tenore letterale delle contestazioni nelle quali l´addebito riguardava il compimento di atti di concorrenza sleale non autorizzati. La circostanza che le notizie e le valutazioni trasmesse ai clienti del settore fossero state comunicate al ricorrente dal direttore commerciale della società datrice di lavoro, non modificava i termini della contestazione. Faceva così cadere, la S.C. la fondatezza dei vizi denunciati.
In sostanza, l´iniziativa del manager di divulgare, presso la clientela concorrente, al fine di sviarla in modo scorretto, notizie interne all´azienda e apprese in ragione di servizio, veniva considerata arbitraria e contraria alle regole della correttezza commerciale, lesiva del vincolo fiduciario e pregiudizievole dell´immagine del datore di lavoro. Alla luce di tali osservazioni, vana si rivelava la scelta del lavoratore, di presentare ricorso in Cassazione, la quale confermava la decisione presa in appello, ribadendo la legittimità del licenziamento contestato.
scritto da Pamela Garofalo
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