Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 28 Giugno 2019
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Compensi legali liquidati al cliente, SC: “Solo sanzione civile, se indebitamente trattenuti dall’assistito”

Con la sentenza n. 27829 dello scorso 24 giugno, la II sezione Penale della Corte di Cassazione – chiamata ad analizzare la condotta di un cliente che aveva trattenuto le somme ricevute dall'Assicurazione a titolo di competenze legali per l'attività svolta dal proprio avvocato – ha ribadito come l'illecito compiuto dall'uomo fosse passibile solo di sanzione civile, posto che "non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta della parte vincitrice di una causa civile che trattenga la somma liquidata in proprio favore a titolo di refusione delle spese legali, rifiutando di consegnarla al proprio avvocato che la reclami come propria".

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo accusato di concorso in appropriazione indebita ai danni del proprio legale di fiducia, per essersi impossessato di una somma di denaro liquidata dall'assicurazione e riconducibile alle spese legali del predetto avvocato.

Per tali fatti, sia il Tribunale di Pistoia che la Corte di Appello di Firenze condannavano l'uomo alla pena ritenuta di giustizia. 

L'imputato, ricorrendo in Cassazione, eccepiva violazione di legge nella configurazione del reato, rilevando come, per pacifica giurisprudenza, il difensore avrebbe avuto azione solo nei confronti del cliente (e non anche dell'assicurazione), in quanto le somme liquidate da un'assicurazione a favore del danneggiato sarebbero state di proprietà di quest'ultimo in tutte le voci, ivi compresa quella relativa alle spese legali. Ne sarebbe derivato, in conclusione, che il mancato versamento dell'onorario al patrocinatore sarebbe stato fonte solo di illecito civile.

La Cassazione condivide la tesi del ricorrente.

In punto di diritto, la Corte ricorda come la ratio dell'art. 646 c.p. deve essere individuata nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l'autonoma disponibilità della res, dia alla stessa una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa.

In particolare, il reato è integrato quando i beni oggetto di appropriazione sono di proprietà di terzi e colui che se ne appropria indebitamente ne abbia, in virtù di regolare titolo giuridico, il possesso e manifesti al proprietario del bene la propria volontà di non restituire più quel bene, così conseguendo un ingiusto profitto.

La Corte specifica come sia necessario verificare – esaminando il rapporto che lega il cliente al proprio difensore – se la somma liquidata dal giudice a favore del cliente sia o meno di proprietà dell'avvocato e se il cliente, in virtù di un qualche legittimo titolo di possesso, ne effettui l'interversione. 

Sul punto, si specifica come, a seguito dell'instaurazione del rapporto di mandato professionale, il professionista ha il diritto di pretendere il pagamento della prestazione cui segue il correlativo obbligo, a carico del cliente, di effettuare il pagamento secondo le pattuizioni che le parti hanno stabilito in ordine al quantum ed alle modalità.

In una causa civile, il professionista può farsi pagare direttamente dal cliente ed indipendentemente dalla liquidazione che il giudice effettua in sentenza oppure direttamente dalla parte soccombente, nel caso della distrazione delle spese.

Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini rilevano come la somma era stata liquidata direttamente a favore del cliente ed era di sua esclusiva proprietà; l'imputato rimaneva quindi libero di assegnare a quella somma la destinazione che più gli aggradava, pur essendo tenuto al pagamento della parcella dell'avvocato che lo aveva patrocinato.

Conseguentemente, la fattispecie in esame ha assunto solo una rilevanza civilistica, rimanendo priva di connotati penali, posto che l'avvocato non poteva, su quella somma, pretendere alcun diritto, potendo solo richiedere, direttamente nei confronti del proprio cliente, la somma ritenuta congrua a titolo di parcella per l'opera professionale svolta, somma che avrebbe potuto essere, in ipotesi, sia minore che superiore a quella liquidata dal giudice.

La Cassazione accoglie quindi il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili. 

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