Con l'ordinanza n. 1421 dello scorso 22 gennaio in materia di compensi legali, la VI sezione civile della Corte di Cassazione ha ribadito il diritto di un legale di vedersi corrispondere le spese forfetarie, nella misura del 15 % prevista come "di regola" dal D.M. n. 55 del 2014, anche a prescindere dalla specifica indicazione, tanto della loro debenza, che della loro percentuale, nel provvedimento regolativo delle spese di lite.
Si è difatti specificato che "in difetto di specificazione della debenza, o anche solo della percentuale, delle spese forfetarie, queste debbano ritenersi riconosciute nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, potendo tale misura essere soltanto motivatamente diminuita dal giudice".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale, volta ad ottenere il compenso – pari ad euro 19.209,92– per le prestazioni professionali, giudiziali e stragiudiziali, prestate a favore di alcuni clienti.
In particolare, i clienti avevano conferito, sia al ricorrente che al suo collega di studio, l'incarico di avviare un giudizio presso il T.A.R. dell'Emilia Romagna, conclusosi con pronuncia di cessazione della materia del contendere.
Il ricorrente predisponeva il ricorso introduttivo del giudizio amministrativo, mentre tutti gli atti del giudizio amministrativo successivi alla predisposizione del ricorso venivano sottoscritti da altro collega, che presenziava da solo alla camera di consiglio.
Il Tribunale adito, con sentenza, riconosceva il compenso dovuto solo per la fase introduttiva del giudizio.
La decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Bologna, senza nulla prevedere a titolo di liquidazione delle. spese forfetarie dovute sul compenso liquidato.
Il legale proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del D.M. n. 55 del 2014, evidenziando l'errore compiuto dalla Corte di Appello nell'omettere di liquidare le spese forfetarie sulla somma riconosciuta a titolo di compensi.
A tal fine il professionista ribadiva come il rimborso delle spese forfetarie costituisse una voce accessoria che doveva essere necessariamente riconosciuta, al pari del rimborso dell'IVA e del CAP, essendo lo stesso D.M.a prevedere testualmente che "Oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all'avvocato è dovuta - in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale - una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi artt. 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta".
La Cassazione condivide le doglianze sollevate dal ricorrente.
Sin dalla vigenza del D.M. n. 140 del 2012, si è affermato il principio dell'automatica debenza del rimborso forfetario, anche in assenza di una specifica istanza del difensore, trattandosi di componente delle spese giudiziali determinata in misura fissa dalla norma.
Con l'avvento del D.M. n. 55 del 2014, in assenza di una specificazione della debenza, o anche solo della percentuale, delle spese forfetarie, la giurisprudenza ha specificato che queste debbano ritenersi riconosciute nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, potendo tale misura essere soltanto motivatamente diminuita dal giudice.
Sul significato da attribuire all'espressione "di regola", si è attribuito un duplice significato: sia confermativo del potere-dovere del giudice di determinare le spese processuali, all'interno degli ordinari limiti minimo e massimo di aumento o diminuzione previsti dall'art. 4 del D.M. n. 55 del 2014, facendo riferimento ai parametri generali indicati in apertura della disposizione, sia precettivo dell'obbligo di specifica motivazione, nel solo caso in cui il giudice ritenga di superare i predetti limiti ordinari di aumento e diminuzione.
Con la modifica del D.M. n. 55/2014 operata dal D.M. n. 37/2018 non è mutato il quadro normativo, in quanto si è prevista solo l'inderogabilità delle riduzioni massime, ma non anche degli aumenti massimi, che continuano ad essere previsti come applicabili "di regola".
In ragione di tanto, gli Ermellini ribadiscono che, con le parole "di regola", si intende individuare un criterio determinativo del massimo aumento applicabile, ovvero dell'importo "normale" delle spese forfetarie da riconoscere all'avvocato - che, non necessitando di specifica motivazione, sia prestabilito ed automaticamente applicabile.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte ribadisce, quindi, il diritto del legale di vedersi corrispondere le spese forfetarie, nella misura del 15 % prevista come "di regola" dal D.M. n. 55 del 2014, anche a prescindere dalla specifica indicazione, tanto della loro debenza, che della loro percentuale, nel provvedimento impugnato.