Di Rosalia Ruggieri su Martedì, 30 Giugno 2020
Categoria: Donne

Colpisce la figlia con cucchiaio da cucina, SC: “E’ maltrattamento in famiglia”

Con la sentenza n. 18706 dello scorso 18 giugno, la VI sezione penale della Corte di Cassazione, ha confermato la condanna per il reato di maltrattamenti inflitto ad un uomo che aveva aggredito, utilizzando un cucchiaio da cucina, la figliastra, escludendo che gli atteggiamenti dell'uomo potessero costituire semplici reazioni tipiche dello ius corrigendi.

Si è difatti specificato che l'elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall'agente, in quanto l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito; difatti, il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato del reato di cui all'art. 572 c.p. ai danni della figlia della sua compagna, per averla maltrattata con aggressioni verbali e fisiche, colpendola in alcune occasioni con un cucchiaio.

Condannato in primo grado, la pronuncia veniva confermata dalla Corte di appello di Brescia, che condannava l'uomo alla pena di giustizia. 

Ricorrendo in Cassazione, l'imputato deduceva violazione della legge penale, con riguardo alla nozione di maltrattamenti. Più nel dettaglio, censurava la decisione impugnata per non aver sussunto i fatti contestati al reato di cui all'art. 571 cod. pen., evidenziando come giammai si erano verificati episodi di maltrattamenti implicanti l'uso della violenza, in quanto in un solo episodio l'imputato aveva colpito con un cucchiaio la bambina, con conseguente esclusione del requisito della abitualità della condotta, tipico del reato di maltrattamenti.

A tal fine evidenziava come la sentenza impugnata si fosse basata esclusivamente sulle dichiarazioni della madre della bambina che, a detta dell'imputato, aveva "ingigantito" in denuncia i fatti in ragione dell'alto livello di conflittualità tra i coniugi e dell'imminente separazione.

La Cassazione non condivide le argomentazioni dell'imputato.

Gli Ermellini chiariscono come, nel giudizio di legittimità, non si può procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e all'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. 

Nel caso di specie, invero, le censure dedotte si sviluppano infatti sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un'interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, che, di contro, hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell'impugnazione di appello, di talché la motivazione è risultata esaustiva ed immune dalle censure proposte.

In relazione all'applicabilità, nel caso di specie, della più tenue fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, la Corte ribadisce che l'elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute dall'agente, in quanto l'uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito; difatti, il reato di abuso dei mezzi di correzione presuppone l'uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, in via ordinaria consentiti, quali l'esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, l'obbligo di condotte riparatorie o forme di rimprovero non riservate.

Nel caso di specie, invece, la Corte di merito ha correttamente evidenziato come i fatti oggetto del processo fossero connotati da un reiterato ricorso alla violenza, materiale e morale, e come ciò fosse incompatibile con il reato di abuso dei mezzi di correzione.

In conclusione, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende. 

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