Di Redazione su Venerdì, 20 Settembre 2019
Categoria: I Maestri del Pensiero

Nicola Abbagnano, il neoilluminista: "Il tempo non è minaccia di distruzione dell'uomo"

 Laureatosi in filosofia nel 1922 a Napoli con Antonio Aliotta, insegna dapprima al Liceo Umberto I ed all'Istituto Superiore di Magistero "Suor Orsola Benincasa" del capoluogo campano, per poi trasferirsi all'Università di Torino dove è professore ordinario di Storia della filosofia prima presso la Facoltà di Magistero (1936-1939), poi presso quella di Lettere e Filosofia (1939-1976).
Dal 1952 è condirettore, a fianco di Norberto Bobbio, della Rivista di filosofia. Tra il 1953 e il 1962 è stato ispiratore del gruppo di intellettuali e filosofi, comprendente, tra gli altri, lo stesso Bobbio e Ludovico Geymonat, che prende il nome di "neoilluminismo italiano", organizzando una serie di convegni rivolti alla costruzione di una filosofia "laica", aperta ai principali orientamenti del pensiero filosofico internazionale.
Dal 1964 al 1972 collabora con il quotidiano La Stampa; si trasferisce poi a Milano dove collabora con Il Giornale di Indro Montanelli e dove, nel 1985, viene eletto consigliere comunale nelle liste del Partito Liberale Italiano e assume per circa un anno la carica di assessore comunale alla Cultura.
È stato uno dei promotori del Centro di studi metodologici di Torino.

Come studioso di filosofia, è tra i primi a diffondere in Italia, negli anni trenta e quaranta, la conoscenza delle correnti esistenzialistiche francesi e tedesche, in particolare Heidegger, Jaspers e Sartre.
Nell'opera giovanile Le sorgenti irrazionali del pensiero, del 1923, Abbagnano esalta l'azione creativa, la volontà e l'esperienza, attribuendo ad esse il compito di condurre alla verità. Erano elementi che egli ritrova soprattutto nella filosofia di Giovanni Gentile.
Fondamentale nell'evoluzione del suo pensiero è l'opera La struttura dell'esistenza, pubblicata nel 1939 a Torino, nella quale Abbagnano propose una terza alternativa alle due correnti appartenenti all'esistenzialismo tedesco, quella di Heidegger e quella di Jaspers.
Abbagnano definisce la propria visione filosofica come esistenzialismo positivo; esso, pur non esplicitamente formulato in veste sistematica, individua la centralità dell'esistenza come momento ontologicamente fondativo, considerando la razionalità dell'uomo come lo strumento principe in grado di garantire a questo fondamento un valore positivo contro ogni possibile nichilismo.
Diversamente rispetto all'impostazione di Heidegger e di Jaspers, Abbagnano evidenzia l'importanza della libertà e della indeterminazione e quindi l'ineluttabilità del loro perseguimento.
Oltre a porre la ragione come unico mezzo per creare un legame tra l'uomo e il mondo che lo circonda il pensiero di Abbagnano insiste molto su un chiarimento dell'orizzonte categoriale della possibilità, in contrasto con quello della necessità, tipico proprio dell'idealismo romantico e dell'esistenzialismo tedesco e francese, fatto che spiega la sua forte critica nei confronti queste due scuole filosofiche. Nello scritto Possibilità e libertà, distribuito nel 1956, l'autore chiarì il senso della sua filosofia, non incline né alla visione pessimistica dell'uomo imbrigliato e impedito in ogni suo progetto vitale, ma neppure ottimista al punto da concedere all'essere una realizzazione certa. In quegli stessi anni prende vita il movimento filosofico da lui nominato "neoilluminismo", nel quale precisa il senso dell'esistenzialismo positivo in termini di empirismo radicale e di filosofia applicata alla realtà del mondo sociale. Il movimento, che ha avuto sin dal principio una configurazione culturalmente e politicamente molto composita, avrebbe dovuto favorire l'elaborazione di una visione e di un uso della ragione filosofica alternativi tanto al marxismo che al pensiero cattolico.
Abbagnano aveva del resto ripetutamente criticato all'idealismo e al neoidealismo italiano la tendenza a sottostimare il valore della scienza, da lui invece considerata una disciplina indispensabile per la ricerca della conoscenza, oltreché per l'utilizzo delle sue applicazioni. Quindi una disciplina alternativa alla filosofia, ma di pari valore e ad essa complementare.
Abbagnano insistette nei suoi lavori sui concetti di libertà e di ragione; la prima intesa come la possibilità di scegliere, la seconda come facoltà necessaria per regolare le azioni dell'uomo.
Anche il positivismo di stampo ottocentesco fu oggetto di critica tramite la contrapposizione con le filosofie di Immanuel Kant e Søren Kierkegaard.
Nel suo esistenzialismo positivo, Abbagnano insiste molto sulla finitudine dell'uomo e sulla problematicità dell'esistenza, destinata per sua costituzione a operare nell'orizzonte del possibile. Egli vede kantianamente nel limite una caratteristica di fondo del nostro esistere e del nostro sapere. Negli ultimi anni questo lucido senso del limite e della problematicità esistenziale si è accompagnato a un lucido senso del mistero ultimo delle cose, inteso come un aspetto insopprimibile della nostra esperienza del reale. «Ed è proprio questo senso del limite e del mistero, insieme alla rinuncia ad ogni (illusoria) infinitizzazione o divinizzazione dell'umano, a fondare – secondo l'ultimo Abbagnano – la possibilità di un incontro genuino fra credenti e non credenti. E ciò all'insegna di quella "umiltà del pensiero" (come la chiamava il filosofo) che rappresenta la condizione indispensabile di ogni etica del dialogo e del reciproco rispetto».

Le possibilità umane sono già, da questo punto di vista, possibilità realizzate in quanto date o concesse all'uomo dall'essere stesso che tutte le contiene nella loro compiuta realizzazione. Il tempo allora cessa di essere una minaccia di distruzione per diventare una condizione di realizzazione. La riuscita delle intraprese umane è garantita in partenza... Se esso punto di vista significa che tutte le possibilità umane, indistintamente, sono destinate a realizzarsi, oltre che urtare contro l'esperienza dolorosa dell'insuccesso, dello scacco, dell'infelicità, del dolore, della morte ecc., non offre alcun criterio all'uomo per distinguere possibilità da possibilità, giacché tutte, in questo caso, sarebbero ugualmente solide, buone, felici.  Ma se esso significa che solo alcune delle possibilità umane sono garantite in quanto fondate sull'essere e sul valore, esso urta daccapo e piú rudemente contro l'esigenza di un criterio di scelta..., come riconoscere, nei casi particolari, quella che è fondata sull'essere e sul valore e che perciò «è destinata a realizzarsi» e quella che non lo è? [...] Qualche esempio renderà piú chiaro questo punto d'importanza decisiva.

 Se un'ipotesi scientifica prospetta un'osservazione x da cui l'ipotesi stessa risulterebbe verificata, tutto ciò che essa prospetta è un complesso di accertamenti, di controlli, di misure, che nel loro insieme costituiscono l'osservazione x. Se l'ipotesi si verifica, tutto ciò che accade è che quelle possibilità di misura, di controllo, di accertamento, costitutive del fenomeno x, si rivelano come autentiche possibilità, che si riprospetteranno in futuro nelle stesse circostanze. Il realizzarsi della possibilità prospettata non è qui che il consolidarsi ed il manifestarsi autentico della possibilità stessa e il suo ripresentarsi come possibilità.

(N. Abbagnano, Possibilità e libertà)

Messaggi correlati