Di Redazione su Domenica, 23 Luglio 2017
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

La Sacra Inquisizione ha sede ad Udine, il Coa: "Colleghi intimiditi da pm, noi indignati".

Una storia incredibile arriva in queste ore dal Foro di Udine.
Una storia di provincia, perché solo in provincia possono accadere dei fatti che, per come sono rappresentati, sembrano veramente ai limiti.
Una storia narrata, con prudenza e un certo riserbo, e se possibile nell´imbarazzo, sui social, ma nelle ultime ore è stata portata agli onori della cronaca dal quotidiano del Cnf Il Dubbio.

Un caso che la storia sìa stata raccontata proprio da Il Dubbio? Certamente no.

Non si tratta, non può trattarsi di un caso, perchè Il Dubbio, come detto, è il giornale edito dal Cnf e questa storia, quella che racconteremo, è destinata, con il passare delle ore, a scuotere la giustizia italiana, a minare, fin dalle fondamenta, uno dei postulati per eccellenza, che cioè il suo equilibrio sia assicurato non solo dall´autonomia ordinamentale tra la magistratura e l´avvocatura - ordinate su piani diversi e titolari di diverse e complementari funzioni - ma anche e soprattutto dal reciproco rispetto per la dignità di ciascun ordine.

Rispetto che implica, prima di tutto, una esigenza di estrema attenzione per il rispetto delle regole, specie quando esse tutelano interessi di una parte terza e più esposta, quella dei cittadini, di coloro che usufruiscono della Giustizia, di quella generalità senza la quale non potrebbero esistere né gli avvocati nè, tantomeno i magistrati, e neppure lo Stato di diritto, come lo intendiamo nelle società contemporanee.

Rispetto che significa misurare i propri comportamenti sulla base di queste regole, esitare prima di assumere decisioni che possano determinare la rottura di equilibri delicati senza che sussista la certezza, o almeno la ragionevole probabilità, che tali decisioni debbano invece essere assunte in nome di un interesse più alto.

Rispetto che deve indurre, se proprio tali comportamenti meritano di essere assunti, ad evitare spettacolarizzazioni fuori luogo, annunci urbi et orbi, indebiti protagonismi.

Rispetto che deve implicare, nel caso tutto questo sia avvenuto, e che un organo superiore ne abbia proclamato la erroneità, ad emendare l´errore attraverso il pubblico riconoscimento che di errore, appunto, si è trattato.

Rispetto che è del tutto mancato nel caso raccontato dal quotidiano.

Ecco perchè, si lasci passare il termine terribile onomatopeicamente, solo Il Dubbio avrebbe potuto raccontare questa storia, perché quanto è accaduto e sta ancora accadendo ad Udine, suscita molti interrogativi. Per dirla tutta, lascia sgomenti.

I protagonisti? Si, ma non solo. Pensiamo, tutti gli avvocati italiani. Siamo quasi certi, anche la stragrande maggioranza dei magistrati.

Cosa è accaduto ad Udine? È accaduto, spiega il quotidiano, che alcuni colleghi siano stati indagati per aver suggerito al proprio assistito di avvalersi della facoltà di non rispondere.

I protagonisti di questa vicenda kafkiana sono, cominciamo ad entrare nei particolari, due avvocati di quel Foro (Udine), che il 23 giugno hanno addirittura subito l´onta della perquisizione dei propri studi e delle proprie abitazioni. La ragione? Presto detto: in quanto accusati dal pm di Udine di infedele patrocinio.

"Secondo il pm che ha ottenuto la perquisizione e il sequestro, uno dei due avvocati" - si spiega nel quotidiano - "avrebbe violato la legge suggerendo ad una cliente, accusata di favoreggiamento, di rimanere in silenzio durante un interrogatorio".

Una accusa strana e incongrua, dato che quel suggerimento è un diritto previsto dal nostro ordinamento.
Ma non solo: l´indagata avrebbe commesso il reato di favoreggiamento a beneficio del marito, quando il codice penale prevede il vincolo matrimoniale «quale causa di non punibilità».

Il pm, però, non si è accontentato di questo e ha ritenuto di indagare anche un secondo avvocato, questa volta difensore del coniuge della donna. Contestando a questo secondo collega un reato che sembra letteralmente uscito dal mondo della Sacra Inquisizione, di essersi scambiato informazioni con il Collega!

Due avvocati alla sbarra, sulla base di valutazioni che appaiono a dir poco pretestuose, ed i provvedimenti accompagnati da un grande clamore sugli organi di stampa. E di commenti che hanno visto al centro della scena una sola figura: quella del Giustiziere.

Clamore che, ha rilevato il COA, ha determinato «pregiudizio e nocumento dell´intera categoria professionale».

Clamore che, invece, "non è stato dato alla decisione del Riesame, che il 13 luglio ha annullato il provvedimento restituendo il materiale sequestrato, «non essendo ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele»".

Con ordinanza del 13 luglio scorso, infatti, il Tribunale per il Riesame di Udine, adito dai difensori degli indagati, ha disposto l´annullamento del provvedimento di perquisizione e di sequestro e la restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro, non essendo "ravvisabile il fumus del reato di patrocinio infedele
contestato".

Osservando che il suggerimento rivolto da un difensore alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere costituisce "linea difensiva" in relazione alla quale "non può essere mossa alcuna censura, la stessa essendo esplicazione di un diritto espressamente riconosciuto
all´indagato/imputato".

Che anche in difetto di specifiche
ragioni di opportunità, comunque rientri pienamente nel diritto di difesa quello di suggerire alla propria assistita di avvalersi della facoltà di non rispondere e che è legittimo che i difensori abbiano avuto contatti e scambi di informazioni atteso che è il Codice Deontologico forense che lo suggerisce.

"Il Pubblico Ministero" - ha scritto in una nota che anche noi condividiamo il Coa - "con il suo agire ha preteso di interferire nel rapporto
esclusivo tra difensore e difeso e di condizionarne lo svolgimento.
Il Pubblico Ministero ha infatti incriminato avvocati per avere costoro suggerito al proprio assistito una certa linea difensiva (anzichè altra) perfettamente legittima, ma al Pubblico Ministero non gradita,
evidentemente perchè non suscettibile di condurre all´acquisizione di elementi di prova a sostegno della sua tesi accusatoria.
Intuibile è la portata condizionante di siffatto modus agendi, in quanto
idoneo a condizionare la scelta difensiva da parte di avvocato che non voglia essere incriminato".

E´ il difensore, insieme con l´assistito - e non la Pubblica Accusa" - ha proseguito il Coa - la sola parte processuale deputata a valutare e
decidere ciò che sia utile o dannoso all´indagato e all´imputato.

Ribadendo anche "la propria assoluta contrarietà alla sovraesposizione
mediatica che caratterizza non di rado vicende processuali ancora lontane dalla possibilità di affermazione della responsabilità dei soggetti coinvolti nelle indagini" e rilevando, con riferimento al caso di specie, "che quello che
appare un grave incidente di percorso del Pubblico Ministero non avrebbe portato nocumento all´immagine dell´Avvocatura in prima battuta e della Pubblica Accusa ora se la notizia fosse stata mantenuta nei giusti e ristretti limiti suggeriti da prudenza e riservatezza. Tanto più che, come perfettamente prevedibile e come avvenuto nel caso
di specie, la notizia dell´ordinanza pronunciata dal Tribunale del Riesame è stata pubblicata con veste grafica assai meno visibile di quella scelta per la pubblicazione della notizia della perquisizione e del sequestro e della pendenza del procedimento a carico dei due professionisti".

Una nota, in conclusione, che ribadisce "la piena adesione al modello di giudice "terzo e imparziale" tracciato dal legislatore, adesione che trova alta affermazione nel riconoscimento del valore intangibile del rapporto tra difensore e difeso e del principio di libertà racchiuso nel diritto di non rispondere alle domande poste sia in fase di indagini che in fase di giudizi".

Questi i fatti, rispetto ai quali esprimiamo, pur nella consapevolezza che il provvedimento del Riesame è contingibile e non definitivo, biasimo per come quel pm ha esercitato le proprie funzioni, riconoscendoci in toto nelle valutazioni di quel Coa ed auspicando che una indagine interna porti ad esaminare se sussistano i presupposti ed elementi di responsabilità, anche disciplinare, a carico di quel magistrato.

Per il resto, facciamo nostre, senza alcun ulteriore commento, le parole espresse da una Collega di tutt´altra parte d´Italia circa i fatti in commento.

"Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale" - ha scritto Monica - mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini di giustizia e tutela dell´assistito, nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento".

Siamo avvocati ed indipendenti.
Una procura non può permettersi di intimidirci. Tuteliamo gli assistiti - ha concluso - e non facciamo favori alle procure.

La nostra solidarietà ai Colleghi.

Avv. Piero Gurrieri