Di Rosalia Ruggieri su Sabato, 05 Dicembre 2020
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Cliente nega il rilascio della procura: come recuperare il compenso?

Con l'ordinanza n. 27308 dello scorso 30 novembre, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito quale sia il rito applicabile all'ipotesi in cui, a fronte di una richiesta di liquidazione dei compensi maturati per un'attività legale, i clienti eccepiscano l'inesistenza di una valida procura alle liti.

Si è difatti specificato che "la controversia di cui all'art. 28 della legge n. 794/1942 introdotta sia ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato, resta soggetta al rito di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all'esistenza del rapporto o, in genere, all'"an debeatur".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale, volta ad ottenere il compenso – pari ad euro 24.439,47 oltre accessori – per l'attività svolta in un giudizio civile a favore di due clienti.

Instaurato un giudizio ex art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, si costituivano le convenute, le quali eccepivano l'inammissibilità della domanda, attesa l'inesistenza di una valida procura alle liti conferita per il giudizio patrocinato dal legale.

Il Tribunale adito, con ordinanza, dichiarava inammissibile il ricorso, con la condanna della ricorrente al rimborso delle spese di lite. 

A sostegno della propria decisione, il Tribunale di Vallo della Lucania evidenziava come il processo sommario speciale fosse improseguibile, in quanto il diritto di credito azionato era stato radicalmente contestato dalle convenute, le quali avevano negato l'avvenuto rilascio di una procura alle liti per il giudizio presupposto.

A sostegno di tanto, il Tribunale citava un orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di contestazione dell'an della pretesa del difensore, il giudice, adito ai sensi degli articoli 28 e 29 della legge n. 794 del 1942, debba dichiarare l'inammissibilità della domanda, senza poter disporre il mutamento del rito, al fine di consentire la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie.

Il legale proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 150/2011 e degli artt. 702 bis e seguenti c.p.c.., evidenziando l'errore compiuto dal Tribunale nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso proposto.

A tal fine il ricorrente evidenziava come, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, in materia di procedimento sommario volto alla liquidazione dei compensi del difensore per le prestazioni rese in sede giudiziale civile, il rito speciale si applica anche nel caso in cui le contestazioni del cliente investano l'an della pretesa. 

La Cassazione condivide le doglianze sollevate del ricorrente.

La Corte ribadisce la validità del principio secondo cui la controversia di cui all'art. 28 della legge n. 794/1942 introdotta sia ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell'avvocato, resta soggetta al rito di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all'esistenza del rapporto o, in genere, all'"an debeatur"; diversamente, qualora il convenuto ampli l'oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale) non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. 150/2011, la trattazione di quest'ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un'istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena), previa separazione delle domande.

Con specifico riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata non ha fatto applicazione di tale principio, posto che il Tribunale – piuttosto che addivenire alla declaratoria di inammissibilità – avrebbe dovuto decidere la domanda proposta con le forme di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche a fronte di una contestazione che investiva la stessa esistenza del rapporto professionale, quale l'esistenza di una valida procura alle liti.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa l'ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Vallo della Lucania in diversa composizione.

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