La Suprema Corte sancisce senza mezzi termini con ordinanza n. 18047/2019 l'inesistenza dell'atto processuale del praticante avvocato qualora esso superi i limiti previsti dalla legge per il patrocinio. Non c'è dunque alcuna possibilità di sanatoria ex art. 182 secondo comma c.p.c. poiché la stessa è, secondo la Corte, riservata solo ai casi di nullità con esclusione di quella assoluta e dell'inesistenza. Il caso traeva origine da una richiesta di un risarcimento danni per lavori svolti in un condominio da parte di una impresa individuale. In primo grado era stata accolta la domanda di risarcimento dei danni prodottisi a seguito di lavori di manutenzione e ricostruzione di uno stabile vicino; veniva inoltre dichiarata inammissibile la chiamata in garanzia della società assicuratrice poiché la ditta convenuta risultava assistita da un praticante avvocato e il valore della causa superava i limiti consentiti dalla legge per il patrocinio di quest'ultimo.
Nessun ribaltamento veniva ottenuto in sede di appello ove la Corte rigettava il gravame. L'ultimo stadio del ricorso per cassazione vedeva la prospettazione di ben cinque motivi da parte del titolare della ditta. Il ricorrente lamentava difatti la mancata sanatoria con effetto ex tunc di cui all'art. 182 c.p.c. per gli atti di parte compiti dal praticante avvocato prima che avesse fatto poi ingresso per la difesa altro avvocato ai sensi dell'art. 293 c.p.c. Con gli altri motivi il ricorrente lamentava la mancata valutazione -nel giudizio di merito- di atti decisivi per la decisione: segnatamente il fatto che l'ATP fosse da considerarsi inefficace per violazione del contraddittorio, mancata valutazione di determinati aspetti del nesso causale dell'evento dannoso, mancata valutazione delle responsabilità dell'assicurazione chiamata in garanzia.
La Suprema Corte, chiamata dunque a dirimere la vexata quaestio, falcia sostanzialmente questi ultimi motivi poiché non sono stati allegati i relativi atti processuali del giudizio di merito sicché essi sono inammissibili. Per quanto riguarda il primo motivo la Corte ricorda che la sanatoria ex art. 182 c.p.c. opera solo quando venga "rettificata" la posizione del soggetto che ha proposto la domanda giudiziale e non quando lo stesso venga sostituito. Inoltre sottolinea come nel caso di specie gli atti compiti siano inesistenti e non già semplicemente nulli: l'iscrizione difatti all'albo ha natura costitutiva per l'espletamento della relativa professione; tale normativa è disposta per ragioni di ordine pubblico sicché l'atto compito dal praticante avvocato in violazione della suddetta- rilevabile anche d'ufficio- non può essere in alcun modo sanato. Ne discende che non è possibile far riferimento alla concessione di termini di cui all'art. 182 c.p.c. perché tale disposizione riguarda le ipotesi di nullità e non di inesistenza che si presenta, invece, nel caso di specie.