Con l'ordinanza n. 24688 depositata lo scorso 5 novembre, la III sezione civile della Cassazione, ha confermato la responsabilità civile di una clinica per il negligente operato di un chirurgo che, presso quella casa di cura, aveva mal eseguito un intervento chirurgico.
Si è difatti specificato che "la struttura ospedaliera è tenuta a rispondere dei pregiudizi cagionati dal personale di cui si avvale, con la precisazione che tale responsabilità trova radice non già in una colpa "in eligendo" degli ausiliari o "in vigilando" circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte una casa di cura e un chirurgo venivano convenuti in giudizio da un paziente, che chiedeva il risarcimento di tutti i danni patiti a seguito della cattiva esecuzione di un intervento chirurgico.
Costituitasi in giudizio, la struttura ospedaliera chiedeva di essere estromessa dal giudizio, deducendo come non era stato mosso alcun addebito per carenze della struttura e della organizzazione ospedaliera, né era stato prospettato alcun difetto o malfunzionamento dei macchinari e della struttura; evidenziava, inoltre, come la cattiva esecuzione dell'intervento doveva essere interamente addebitata alla scelta del chirurgo di eseguire quel genere di intervento e che, pertanto, non poteva esser ritenuta responsabile di tale decisione, anche alla luce dell'assenza di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato con il chirurgo.
Sia il Tribunale che la Corte d'Appello di Milano, accertato un riparto interno di responsabilità fra i due convenuti pari al 50%, condannavano il medico e la casa di cura – in solido – al pagamento di euro 128.996,00, a titolo di danno non patrimoniale, euro 4.587,98, per spese sanitarie, euro 6.600,00, a titolo di danno patrimoniale. 772 milioni di lire, oltre accessori.
Secondo i giudici – in ragione del mancato accertamento di una responsabilità esclusiva del chirurgo e per la ricorrenza, nel caso di specie, del contratto di spedalità – doveva applicarsi la normativa delle obbligazioni solidali nei rapporti tra la struttura e l'operatore sanitario: con l'accettazione del paziente nella clinica, la struttura sanitaria aveva assunto su di sé una pluralità di obbligazioni, dovendo rispondere anche ai sensi degli articoli 2049 e 1228 c.c..
La casa di cura, ricorrendo in Cassazione, denunciava la violazione dell'art. 1298 c.c. e degli artt. 99, 100, 115 e 116 c.p.c., in riferimento anche agli artt. 1218, 1228, 2697 e 2729 c.c., per avere erroneamente la sentenza impugnata ritenuto la responsabilità della struttura clinica, che doveva, invece, essere esclusa data l'esclusiva responsabilità del medico operatore.
La Cassazione non condivide le censure rilevate.
La Corte ricorda che la responsabilità della struttura sanitaria è una responsabilità a doppio binario, che origina da due fatti distinti: dall'inadempimento di quegli obblighi che presiedono per legge all'erogazione del servizio sanitario (i quali, ad esempio, danno luogo a responsabilità per infezioni nosocomiali, per difetto di organizzazione e per carenze tecniche, per mancata sorveglianza); dall'attività illecita, trovante occasione nell'erogazione del servizio sanitario, imputabile a coloro della cui attività il nosocomio si sia avvalso, ex art. 1228 c.c..
Ai sensi del predetto articolo 1228 c.c., infatti, al debitore vengono imputati gli illeciti commessi dai suoi ausiliari, rientrando sulla libertà del titolare dell'obbligazione di decidere come provvedere all'adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la responsabilità da rischio d'impresa ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell'esecuzione di prestazioni complesse.
Ne consegue che la struttura ospedaliera è tenuta a rispondere dei pregiudizi cagionati dal personale di cui si avvale, con la precisazione che tale responsabilità trova radice non già in una colpa "in eligendo" degli ausiliari o "in vigilando" circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all'utilizzazione dei terzi nell'adempimento dell'obbligazione, realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l'avvalimento dell'attività altrui per l'adempimento della propria obbligazione, comportante l'assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Cassazione evidenzia come – a fondare la responsabilità della casa di cura – non occorre la ricerca di difetti o malfunzionamenti dei macchinari o delle strutture dell'istituto, posto che la responsabilità di cui si discute ha origine proprio sull'operato del medico, su cui la clinica aveva l'obbligo di vigilare ed il cui inadempimento, ex art. 1228 c.c., è sufficiente per obbligarla al risarcimento del danno secondo le regole delle obbligazioni solidali.
Ne deriva che, avendo il medico operato nel contesto dei servizi resi dalla casa di cura, la sua condotta negligente non possa essere "isolata" dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso era parte integrante.
In virtù di tanto, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.