Di Rosalia Ruggieri su Venerdì, 29 Marzo 2019
Categoria: Legge e Diritto

Casa coniugale alla moglie, SC: “Commette reato il marito che le stacca la luce”

Con la pronuncia n. 13407 dello scorso 27 marzo, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha condannato, ex art.393 c.p., un marito che aveva effettuato il distacco della fornitura elettrica presente nella casa coniugale assegnata all'ex moglie.

In particolare, la Corte ha escluso che la condotta dell'uomo potesse ritenersi scriminata dalla circostanza che l'interruzione era avvenuta per rimediare all'inerzia della donna, più volte sollecitata ad effettuare la voltura dei contratti, versandosi comunque nella fattispecie di esercizio arbitrario del diritto. Difatti, l'esigenza della tutela del diritto costituisce il nucleo del suddetto reato e, pertanto, in relazione ad esso, non è applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto, ben potendo l'esercizio di un diritto cosiddetto "contestabile" avvenire ricorrendo all'intervento dirimente del giudice, non essendo consentito legittimare l'autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto esercizio del diritto.

Il caso sottoposto all'attenzione della Corte prende avvio dall'esercizio dell'azione penale nei confronti di un uomo, accusato per il reato di cui all'art. 393 c.p., per aver interrotto, con violenza, l'erogazione dell'energia elettrica e del gas nell'appartamento ove vivevano l'ex moglie e i figli, costringendo questi ultimi a stare nell'abitazione senza poter usufruire dei suddetti servizi.

Nel corso del giudizio di primo grado era stato accertato che l'imputato, dopo aver intimato più volte all'ex moglie, alla quale era stata assegnata in sede di separazione la abitazione familiare, di volturare la intestazione delle utenze di fornitura, aveva provveduto lui stesso al distacco della fornitura. 

Il giudice del Tribunale di Terni aveva qualificato i fatti nella fattispecie di cui all'art. 393 c.p. (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone) essendo risultato che l'imputato aveva agito arbitrariamente per esercitare un diritto: era stato accertato, infatti, che l'uomo era amministratore della società intestataria delle utenze, il cui pagamento era stato accollato all'ex moglie a seguito della separazione.

La Corte di appello di Perugia confermava la condanna.

Il marito proponeva ricorso per Cassazione, rilevando – come elemento a sua discolpa – che la sua condotta era stata attuata nella convinzione di tutelare un preteso diritto, posto che non era tenuto al pagamento delle utenze e che l'interruzione era avvenuta soltanto per rimediare all'inerzia della ex moglie, più volte sollecitata ad effettuare la voltura dei contratti.

Inoltre, il ricorrente sosteneva come, in ogni caso, non era configurabile la fattispecie di cui all'art. 393 c.p. per mancanza dell'arbitrarietà della condotta, in quanto la società affittuaria –non avendo ricevuto risposta da parte della persona offesa – aveva la necessità doverosa di intervenire a presidio della sicurezza dei luoghi di lavoro con la chiusura delle utenze a fine giornata.

In ultima istanza eccepiva come non poteva essergli attribuita la responsabilità del distacco, che era stato attuato da terzi, ovvero dalla società affittuaria dell'intera struttura in cui insisteva anche l'abitazione. 

La Cassazione non condivide le tesi difensive dell'imputato, considerando palesemente infondate le critiche relative alla configurabilità del reato di cui all'art. 393 c.p.

Gli Ermellini rilevano come l'elemento addotto dall'uomo come esimente della condotta contestata, non può rendere lecita la sua azione, posto che si versa in ogni caso nella fattispecie di esercizio arbitrario del diritto, ai sensi dell'art. 393 c.p..

Difatti, l'esigenza della tutela del diritto costituisce il nucleo del suddetto reato e, pertanto, in relazione ad esso, non è applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto, ben potendo l'esercizio di un diritto cosiddetto "contestabile" avvenire ricorrendo all'intervento dirimente del giudice, laddove non è consentito legittimare l'autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto esercizio del diritto.

La sentenza in commento specifica, inoltre, che la violenza sulle cose è legittima solo quando sia esercitata al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di turbativa nel godimento della "res", sempre che l'azione reattiva avvenga nell'immediatezza di quella lesiva del diritto e sia impossibile il ricorso immediato al giudice, sussistendo la necessità impellente di ripristinare il possesso perduto o il pacifico esercizio del diritto di godimento del bene.

Con specifico riferimento all'individuazione del soggetto colpevole del distacco, la Corte condivide gli esiti dell'istruttoria, al seguito del quale le prove raccolte convergevano plausibilmente nell'attribuire al ricorrente la paternità del distacco delle utenze, ancorché fosse stato assente il giorno in cui fu materialmente eseguito.

In conclusione la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dell'uomo e lo condanna al pagamento delle spese processuali. 

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