Di Redazione su Martedì, 02 Luglio 2019
Categoria: Attualità

Carola Rackete è libera, il gip non convalida arresto, smontata ricostruzione della procura

Una decisione clamorosa, quella Del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Agrigento che, al termine di una attenta valutazione di tutta la documentazione in proprio possesso, ed ovviamente delle norme internazionali e statali di riferimento, ha deciso di non convalidare il provvedimento di arresto della comandante della Sea Watch, Carola Rackete che pertanto, da questo momento, è una donna libera. Libera perché nei suoi comportamenti non sussistono estremi, anche minimi, di reato secondo l'ordinamento italiano. Il gip di Agrigento, Alessandra Vella, magistrato notoriamente equilibrato e rigoroso, ha assunto una decisione, che nel corso della giornata  si è spostata di ora in ora, probabilmente per consentire un migliore approfondimento della materia, in modo da non tralasciare alcun aspetto, alcun particolare, che, seppure non attesa, va rispettata,  in quanto come ieri ha tenuto a sottolineare il capo dello Stato Sergio Mattarella in occasione della conferenza stampa tenuta, in Austria, con il capo dello Stato di quel paese, il nostro sistema costituzionale si fonda sulla divisione dei poteri, e la Costituzione non consente se non alla magistratura di decidere in materia di libertà dei cittadini, decisioni, queste, del tutto precluse alla politica. 

Secondo il gip «il dl sicurezza bis non è applicabile alle azioni di salvataggio». Il Giudice delle indagini preliminari Ha inoltre rigettato in toto le tesi sostenute dal  procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, secondo il quale la comandante dell'imbarcazione della ONG non si sarebbe trovata in stato di necessità e pertanto non avrebbe goduto di alcuna e si vende ai fini del blocco navale imposto dal governo italiano.  

I reati contestati da Patronaggio per l'episodio dello speronamento, avvenuto in flagranza - ma ritenuti assolutamente insussistenti dal tribunale - erano quelli di resistenza a nave da guerra (reato 1100 del codice della navigazione) e resistenza a pubblico ufficiale (reato 337 del codice penale).

«Non volevo colpire la motovedetta della Guardia di Finanza», aveva detto Rackete rispondendo al gip Vella. «Credevo che si spostasse e me la sono trovata davanti. Non era mia intenzione colpirli».

Leonardo Marino, legale difensore di Rackete, aveva spiegato che la capitana della SeaWatch3 «ha agito in uno stato di necessità e non aveva alcuna intenzione di usare violenza nei confronti degli uomini delle Fiamme Gialle. La mia assistita ha cercato in ogni modo di evitare questo epilogo – ha detto l'avvocato Leonardo Marino, uno dei difensori – ma non poteva attendere oltre, la situazione a bordo della nave era drammatica».

Una opposta ricostruzione a quella della procura ha portato inoltre il Giudice delle indagini preliminari a ritenere del tutto infondato l'ulteriore  crimine contestato alla comandante, quello  previsto e punito dall'articolo 1100 del Codice della Navigazione  recante resistenza a nave da guerra Secondo Patronaggio, Rackete avrebbe urtato di proposito la motovedetta della guardia di Finanza: «È stata valutata negativamente, in maniera volontaria, la manovra effettuata con i motori laterali della Sea Watch che ha prodotto lo schiacciamento della motovedetta della Guardia di finanza verso la banchina. Questo atto è stato ritenuto, da noi, fatto con coscienza e volontà».