Di Redazione su Giovedì, 29 Agosto 2019
Categoria: Storie di legalità e resistenza

"Caro estortore, non telefonarmi, non ti pagherò": il 10 gennaio, l'ultima lettera di Libero Grassi, inno alla resistenza civile

Il 29 agosto del 1991, alle sette e mezza di mattina, Libero Grassi venne ucciso a Palermo con quattro colpi di pistola mentre si reca a piedi al lavoro. Il 10 gennaio 1991 l´imprenditore aveva denunciato sulla prima pagina del Giornale di Sicilia i suoi aguzzini. L'appello era stato ripreso da altri quotidiani e in TV e secondo molti commentatori fu l´inizio della lotta contro il "pizzo" in quel momento considerato inevitabile perfino dalla magistratura (grande impressione aveva destato la famosissima sentenza di contenuto assolutorio del giudice Russo, del tribunale di Catania). Quella lettera, pur a distanza di anni, rappresenta il suo testamento politico, insieme al suo esempio.

"Caro estortore... Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia". 

Iniziava così la lettera di Libero Grassi pubblicata in prima pagina dal Giornale di Sicilia il 10 gennaio 1991. Il giorno dopo davanti alla Sigma, la sua fabbrica di capi d'intimo a Palermo, c'erano carabinieri, cameramen di televisioni e giornalisti. L'imprenditore consegnò a polizia e carabinieri 4 chiavi dell´azienda chiedendo loro protezione.

Grassi venne assassinato da Salvino Madonia il 29 agosto 1981 per essersi opposto al pizzo e per aver denunciato con dovizia di particolari i propri estorsori. Venne anche lasciato solo, anzi criticato, dalle organizzazioni degli imprenditori. Il killer, condannato all´ergastolo, rampollo di una potentissima famiglia attese Grassi sotto casa assieme a Marco Favaloro, poi pentito. Gli sparò alle spalle, senza neanche guardarlo negli occhi.

Oggi vogliamo semplicemente far conoscere il testo per intero di quella lettera. Senza alcun altro commento. Lasciandola alla riflessione di tutti i nostri lettori.

Il testo della lettera di Libero Grassi pubblicata sul Giornale di Sicilia il 10 gennaio 1991:

"Caro estortore, volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ´Geometra Anzalone´ e diremo no a tutti quelli come lui".

 Nato a Catania, ma trasferitosi a 8 anni a Palermo, i genitori gli danno il nome di Libero, in ricordo del sacrificio di Giacomo Matteotti. La sua famiglia era antifascista ed anche Libero matura una posizione avversa al regime di Benito Mussolini. Nel 1942 si trasferisce a Roma, dove studia scienze politiche durante la seconda guerra mondialee si avvicina al Partito d'Azione.

La formazione e l'impegnoModifica

Entra poi in seminario: non per una vocazione maturata nell'avversità della guerra, bensì per il rifiuto di combattere una guerra ingiusta al fianco di fascisti e nazisti. Ne esce dopo la liberazione, tornando a studiare. Passa però alla facoltà di giurisprudenza all'Università di Palermo.

Malgrado l'intenzione di divenire diplomatico, prosegue l'attività del padre come commerciante. Negli anni cinquanta si trasferisce a Gallarate, dove entra nel meccanismo dell'imprenditoria; in seguito torna nel capoluogo siciliano per aprire uno stabilimento tessile. Nel 1955, con la moglie, partecipa alla fondazione del Partito Radicaledi Marco Pannella. Nel 1961 inizia a scrivere articoli politici per vari giornali e successivamente si dà anche alla politica attiva con il Partito Repubblicano Italiano, per il quale viene nominato, nella seconda metà degli anni sessanta, "suo rappresentante in seno al consiglio di amministrazione dell'azienda municipalizzata del gas" (si dimette nel giugno 1969), e candidandosi alle provinciali nel 1972 senza essere eletto.

Dopo aver avuto alcuni problemi con la fabbrica di famiglia, la Sigma, viene preso di mira da Cosa Nostra, che pretende il pagamento del pizzo. Libero Grassi ha il coraggio di opporsi alle richieste di racketdella mafia e di uscire allo scoperto, con grande esposizione mediatica. Nel gennaio 1991 il Giornale di Sicilia aveva pubblicato una sua lettera sul rifiuto di cedere ai ricatti della mafia.

«Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no..." L'imprenditore denuncia gli estorsori (i fratelli Avitabile, arrestati il 19 marzo 1991 assieme a un complice), e rifiuta l'offerta di una scorta personale. La stessa Sicindustria gli volta le spalle. In una lettera pubblicata sul Corriere della Sera il 30 aprile 1991 afferma che «l'unico sostegno alla mia azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana» e definisce "scandalosa" la decisione del giudice catanese Luigi Russo (del 4 aprile 1991) in cui si afferma che non è reato pagare la "protezione" ai boss. Il 29 agosto del 1991, alle sette e mezza di mattina, viene ucciso a Palermo con quattro colpi di pistola mentre si reca a piedi al lavoro.

Una grande folla prende parte al suo funerale, tra cui l'allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il figlio Davide sorprende tutti alzando le dita in segno di vittoria mentre porta la bara del padre. Non mancano le polemiche, tra chi sostiene fin dall'inizio la battaglia dell'imprenditore, come i Verdi e il Centro Peppino Impastato (dedicato ad un'altra vittima della mafia) e chi non ha preso le sue difese, come Assindustria.

Qualche mese dopo la morte di Grassi, è varato il decreto che porta alla legge anti-racket 172, con l'istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione.

La vedova Pina Maisano Grassi, nonostante minacce e intimidazioni, prosegue la lotta per la legalità in nome del marito, all'interno delle istituzioni e al fianco della società civile in sostegno delle tante associazioni anti-racket sorte dal 1991 in Sicilia e nel resto d'Italia. Nel 1992 è eletta senatrice nelle file dei Verdi, fino al 1994.