L'ordinanza della Cassazione n. 3018/2023 è di recente intervenuta in merito alla richiesta di un avvocato al risarcimento dei danni patrimoniali, subiti a suo dire, a seguito di una caduta avvenuta all'interno di un condominio, ove era presente una lastra di ghiaccio nei parcheggi.
Pertanto, l'avvocato riteneva di avere diritto al risarcimento a causa della contrazione della propria attività lavorativa non potendo recarsi in studio.
Ma, non è stata dello stesso avviso la Cassazione, che ha invece ritenuto che, l'attività di un avvocato, a differenza di un'attività commerciale, non si fonda sull'apertura quotidiana dello studio, in quanto è sempre possibile lavorare da casa e rimandare gli appuntamenti.
In conseguenza di tale opinione, l'eventuale contrazione del reddito va provata.
Difatti, le lesioni riportate a seguito della caduta, non hanno inciso sulla capacità di lavorare ed inoltre, l'attività del libero professionista si caratterizza per il fatto che il lavoro, così come i ricavi, sono spalmati nel tempo.
E' quindi naturale che, se l'avvocato non possa temporaneamente muoversi, gli appuntamenti vengano ad esempio rinviati o ancora che si lavori da casa, redigendo atti o altro, per evitare di subire decrementi patrimoniali.
Insomma, precisa inoltre la Cassazione, che il danno non è in re ipsa, ma è necessario che venga provato, circostanza che nel caso di specie non è stata dimostrata.
Il legale difatti aveva semplicemente prodotto in giudizio la propria dichiarazione dei redditi relativa all'anno del sinistro.
In mancanza delle dichiarazioni reddituali successive non è possibile riconoscere e quantificare il danno subito perché sono del tutto assenti termini di paragone da cui trarre elementi ai fini del decidere.
Così facendo, osserva la Cassazione, il Tribunale non solo non ha avuto la prova del danno, ma nemmeno un parametro su cui orientarsi, così che anche una liquidazione in via equitativa risulta impossibile non avendo alcun riferimento o parametro certo.