Massimo Cacciari (Venezia, 5 giugno1944) è un filosofo, accademico, saggista e politico italiano, ex sindaco di Venezia. Di ascendenze emiliane per via paterna (il nonno Gino Cacciari, di Medicina, si era trasferito a Venezia per dirigere i cantieri navali della città), è figlio di Pietro, pediatra, e di una casalinga proveniente da una famiglia di artisti.
Dopo aver frequentato il Liceo Classico Marco Polo di Venezia, si è laureato in Filosofia nel 1967 all'Università di Padova, con una tesi sulla Critica del Giudizio di Immanuel Kant con relatore Dino Formaggio. Ancora studente, fu collaboratore dei professori Carlo Diano, Sergio Bettini e Giuseppe Mazzario.
Nel 1980 diviene professore associato di Estetica presso l'Istituto di Architettura di Venezia, dove nel 1985 diventa professore ordinario. Nel 2002 fonda la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele a Cesano Maderno, di cui è Preside fino al 2005. È tra i fondatori di alcune riviste di filosofia politica, che hanno segnato il dibattito dagli anni sessanta agli anni ottanta, tra cui Angelus Novus, Contropiano, il Centauro, Laboratorio politico.
Al centro della sua riflessione filosofica si colloca la crisi della razionalità moderna, che si è rivelata incapace di cogliere il senso ultimo del reale, abbandonando la ricerca dei fondamenti del conoscere. La sua visione muove dal concetto di "pensiero negativo", ravvisato nelle filosofie di Friedrich Nietzsche, di Martin Heidegger e di Ludwig Wittgenstein, per risalire ai suoi presupposti in alcuni aspetti della tradizione religiosa e del pensiero filosofico occidentali.
Ha pubblicato numerose opere e saggi, tra i quali meritano una particolare attenzione: Krisis (del 1976); Pensiero negativo e razionalizzazione; (1977), Dallo Steinhof (1980), Icone della legge (1985), L'angelo necessario (1986)[7], Dell'inizio (1990), Della cosa ultima (2004) vincitore del Premio Cimitile. Hamletica, Adelphi, Milano, 2009 è il suo lavoro più recente. I volumi Icone della legge e L'angelo necessario presentano, inoltre, alcune pagine dedicate alla filosofia dell'icona e agli esiti del pensiero del mistico russo Pavel Aleksandrovič Florenskij.
Tra i numerosi riconoscimenti sono da ricordare la laurea honoris causa in Architettura conferita dall'Università degli Studi di Genova nel 2003, la laurea honoris causa in Scienze politiche conferita dall'Università di Bucarest nel 2007 e la laurea honoris causa in Filologia, letteratura e tradizione classica conferita dall'Università di Bologna nel 2014.
Attualmente è Presidente della Fondazione Gianni Pellicani e insegna Pensare filosofico e metafisica presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, di cui è stato anche prorettore vicario.
Che cos'è la libertà? Possiamo forse comprenderla come un "qualcosa", allo stesso modo in cui comprendiamo, dimostriamo, calcoliamo i fenomeni? Questa dimostrazione della nostra libertà è impossibile.
Proviamo a dimostrare questa impossibilità. Facciamo un esperimento di pensiero: come posso provare, ora che sto parlando, che ciò che sto dicendo dipende da una mia scelta, che io ho scelto di dire ciò che sto dicendo? Come faccio a provare che è per mia libertà che ho detto le parole che ho appena pronunciato?
Vi è un possibile esperimento di ciò? Sì, ci sarebbe un possibile esperimento di ciò. In che cosa consisterebbe un simile esperimento? Io dovrei poter tornare indietro all'istante immediatamente precedente questo in cui vi sto parlando, e con me dovrebbero poter tornare indietro tutte - nessuna esclusa - le condizioni generali di un istante fa: e a quel punto io dovrei ripetere, con la stessa voce, con gli stessi termini, ciò che avete appena ascoltato. Questo è l'unico esperimento mediante il quale io potrei dire: sì sono libero. Se potessi ripetermi per un istante - ma non io solo, bensì io insieme a tutte le condizioni -, se tutto il mondo tornasse a un istante fa, e io ripetessi ciò che avete appena ascoltato; allora dimostrerei che l'ho fatto per mia libera scelta.
Ma questo esperimento è radicalmente impossibile; è concepibile ma non può realizzarsi. Allora per forza io dubiterò sempre che ciò che vi ho detto sia il frutto di una costrizione, che io sia stato causato a dirvi ciò che vi ho detto, che le mie parole siano state un effetto di una catena concomitante di cause che in quell'istante preciso - mio e del mondo - ha costretto me, questa parte del mondo, a dirvi le cose che vi ho detto.
La libertà è indimostrabile. Questa è l'idea kantiana: la libertà non è un fenomeno, non è una cosa. La libertà è un pensiero dell'uomo, indimostrabile, incatturabile; la libertà è un noumeno, qualcosa che noi pensiamo, non un fenomeno, non qualcosa che possiamo vedere calcolare, misurare, catturare; la libertà è un'idea. Quest'idea non è dimostrabile: mai potrò dimostrare di essere libero - ecco il taglio luterano che impronta di sé tutta la cultura contemporanea - perché non posso costruire quell'esperimento che vi ho raccontato. Ma questa idea della libertà è un'idea che mi è necessario alimento: ecco la ragione pratica kantiana. E' vero che io non posso dimostrare di essere libero, ma è vero altresì che non posso vivere senza questa idea. Ecco la necessità della libertà: non posso vivere senza questa idea.
Nietzsche dirà che la libertà è un errore originario, un errore inevitabile; so benissimo di poter essere sempre confutato, anzi sarò sempre confutato; la filosofia deve sempre confutare chi si illude di poter dimostrare la nostra libertà. Ma la libertà è un errore originario che non posso cancellare dalla mia mente, che alimenta tutto il mio pensiero. La libertà è una insopprimibile supposizione, è il presupposto di ogni nostro agire; ma come tutti i presupposti, come tutti i principi primi, è indimostrabile, è necessario ma indimostrabile.
La libertà è una congettura: il nostro libero arbitrio è una congettura necessaria. E aggiungerei, per finire: non sono congetture un po' tutte le nostre verità ultime? Tutto ciò che alla fine ci sta veramente a cuore, tutto ciò per cui alla fine davvero viviamo e a volte moriamo, non sono congetture? Proprio le congetture, gli errori originari, le insopprimibili supposizioni, lungi dall'essere le cose più deboli ed evanescenti della nostra vita, sono le cose più necessarie alla nostra vita? Nel nostro linguaggio, non sono proprio congetture ciò che ci è più proprio? Ciò che possiamo dimostrare, ciò che possiamo provare riguardo ai fenomeni, riguardo alle azioni, è ciò che ci sta davvero più a cuore? O piuttosto non ci sta più a cuore l'indimostrabile, l'inattingibile, l'incatturabile? La libertà appartiene a questo nostro proprio, a questo nostro fondamento assolutamente infondato, a questo nostro originario che non potrà mai essere provato, che non potrà mai essere dimostrato, che non potrà mai essere analizzato come analizziamo le cose e i fenomeni.
Vi è un destino, che avvertiamo nella nostra mente: in questa porzione di cosmo che è la nostra mente si mostra un destino, una necessità per noi: pensare che siamo liberi.
(Tratto dall'intervista "Il libero arbitrio" - Napoli, Vivarium, giovedì 8 aprile 1993).