La gestione dei dati personali, se è posta in essere per difendere le proprie situazioni soggettive e negli stretti limiti in cui sia necessario, non necessita del consenso dell´interessato.
Così ha stabilito la I sez. Civile della Cassazione con sentenza n. 19423 depositata il 3 Agosto.
Stanata la posizione debitoria di un uomo, che vedeva divulgati ad opera della Banca creditrice, presso la famiglia nonché il sistema creditizio, i dati relativi a tale condizione, lo stesso conveniva in giudizio l´istituto di credito al fine di chiederne la condanna al risarcimento danni per l´illegittima diffusione.
Né in primo né in secondo grado trovava accoglimento la domanda, e ciò sulla base della considerazione secondo cui il comportamento tenuto dalla Banca, che aveva effettuato telefonate e inviato fax di sollecito di pagamento, non poteva dirsi scorretto e illecito. La prova della connessione tra il trattamento dei dati e i danni lamentati non era data.
Il ricorrente agiva quindi per la cassazione della sentenza, lamentando l´errato inquadramento ad opera della Corte d´Appello, dell´azione proposta in giudizio per ottenere il risarcimento danni, in un´azione contrattuale, e non extracontrattuale (come era intenzione dell´istante). Che il comportamento della Banca non avesse affatto violato i principi di correttezza e liceità, era poi conclusione erronea.
La Cassazione, con la sua statuizione, faceva luce sul modus operandi della Banca e, in tema di trattamento dei dati personali come di seguito si esprimeva: "i dati oggetto di trattamento, ai sensi degli artt. 4 e 11 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, vanno gestiti rispettando i canoni della correttezza, pertinenza e non eccedenza, rispetto alle finalità del nuovo loro utilizzo, ma non è necessario, ai sensi dell´art. 24 d.lgs. n. 196 cit., il consenso dell´interessato ove i dati stessi siano impiegati per le esigenze di difesa delle proprie situazioni soggettive e negli stretti limiti in cui ciò sia necessario " (Cass. Sez. U. 08/02/2011, n. 3033). Invocare la competente autorità di garanzia sarebbe giustificato solo in presenza di un inesatto trattamento dei dati, che nel caso di specie non è ravvisabile.
L´istituto di credito, nella vicenda convenuto in giudizio, aveva utilizzato i dati del cliente per soddisfare il proprio credito, utilizzando, peraltro, come recapito telefonico e come indirizzo di domicilio, quelli indicati nel contratto di finanziamento dallo stesso ricorrente. Per di più, l´unicità di domicilio e di utenza telefonica, nonché il fatto che il pagamento delle rate di finanziamento era stato effettuato dalla società di famiglia, difficilmente avrebbero potuto nascondere la situazione in cui versava il ricorrente. Ricorrere al sistema creditizio (CRIF), ha costituito, poi, per la Banca l´ultima possibilità.
Per le ragioni suesposte, il ricorso veniva integralmente rigettato e il ricorrente condannato alle spese di giudizio.
Scritto da Dott.ssa Paola Moscuzza
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