Nei giorni scorsi un avvocato ha scaricato la pistola sul cliente in studio. Si stava litigando. La morte è stata immediata. Ma quasi sempre a rischiare sono gli avvocati. Ecco una riflessione, splendisa e attualissima, dell´avvocato Pier Carlo Barale, piemontese di Cuneo, che proponiamo ai nostri lettori.
L´avvocato aveva iniziato la causa nel ragionevole convincimento che il Giudice avrebbe accolto le richieste ed addebitato all´avversario le spese di giudizio e quelle sostenute per la difesa.
La causa si sviluppò con l´accesso sulla località, l´acquisizione delle contrastanti - come al solito - testimonianze, l´interrogatorio delle parti, la consulenza tecnica d´ufficio, con la spesa per il consulente nominato dal Giudice e quelle delle parti, quindi le memorie autorizzate e la sentenza.
Il cliente perse la causa.
Nel caso in specie, nessun addebito il soccombente avrebbe potuto lamentare con il suo avvocato, che aveva seguito la linea processuale concordata ed aveva svolto la sua attività con diligenza e competenza, della quale godeva nell´ambiente giudiziario.
L´assistito venne così a trovarsi perdente in rapporto al merito, che l´avvocato gli aveva prospettato favorevole al momento dell´assunzione dell´incarico professionale.
Fu condannato a pagare le spese avversarie, quelle di causa, compresa la consulenza tecnica d´ufficio. Le competenze per l´assistenza prestata dal proprio legale erano, ovviamente, a suo carico.
Non digerì la decisione e rifiutò ripetutamente - invitato dal suo avvocato - di provvedere non solo nei confronti dell´avversario, che aveva quantificato quanto dovuto, ma anche alle competenze del proprio legale, dovute per legge, nonostante l´esito negativo del giudizio.
Il difensore non percepì o non valutò adeguatamente l´irritazione del cliente. Insistette per ottenere il pagamento delle spese avversarie e di giudizio in relazione alle quali la controparte vincitrice minacciava azioni esecutive nei confronti dell´assistito. Pretese anche l´integrale pagamento delle proprie competenze indicate nella parcella.
I rapporti cliente-avvocato si fecero tesi. Pare che il soccombente fosse disposto - in forza della sentenza esecutiva - a pagare le spese avversarie e di giudizio, ma non quelle del proprio avvocato, ritenuto responsabile - ovviamente con il giudice, come quasi sempre succede - dell´insuccesso giudiziale toccatogli in sorte.
L´avvocato lo convocò, dopo ripetuti inutili incontri e telefonate di sollecito, con una raccomandata di tenore ultimativo, nello studio, il giorno di mercato. Il mattino della data stabilita il cliente andò nello studio, portando con sè un cesto di vimini assai lungo, dal quale spuntavano le coppe di grossi funghi porcini, coperte da foglie di castagno, come usava allora portare al mercato.
Si accomodò di fronte all´avvocato, che era seduto dall´altra parte della scrivania e stava controllando i documenti del fascicolo di causa, che avrebbe restituito al cliente, nonchè la parcella. Estrasse, da sotto le foglie ed i funghi un fucile da caccia, ne collegò le due parti trasportate staccate nel cesto e sparò all´avvocato, uccidendolo all´istante.
Un civilista ucciso, in quel di Ivrea, a quel tempo, fu una notizia anomala e sconcertante, perchè i rischi degli avvocati che si occupavano di questioni civilistiche potevano essere al massimo lamentele verbali se le cause non avevano ottenuto l´esito sperato, oppure il mancato pagamento della parcella.
Chi si occupa invece di questioni penali, in meridione e non solo, correva già allora ed ancor più oggi, il rischio di lasciarci la pelle. Sia per aver avuto rapporti troppo stretti con la criminalità comune o organizzata, sia per non averne voluti avere, o sia venuto a conoscenza di segreti da seppellire - avvocato compreso - o perchè non abbia ottenuto i risultati sperati in qualche processo.
Per evitare inutili rischi, anche per il civilista, se intende ottenere l´integrale pagamento delle competenze spettantegli, non essendo stato conseguito il risultato sperato, ci si deve attenere ad una elementare prudenza. Deve valutare ciò che può succedere per una sua - peraltro corretta sotto il profilo deontologico e contrattuale professionale - richiesta ultimativa di pagamento.
Se il cliente perdente dà segni di scarso equilibrio o addirittura formula velate o chiare minacce, è meglio lasciar perdere. Prima dei quattrini, da dividere comunque con il fisco in percentuale da patto leonino, viene la pelle e comunque la tranquillità propria e famigliare.
Alcuni clienti sono disposti, avendo poco o nulla da perdere, a concludere il rapporto professionale con le minacce o la pistola, se si procede con pignoramenti e sequestri. Peraltro, spesso il debitore contestatore è insolvente ed allora è ridicolo e sciocco rischiare la pelle per nulla.
Nei giorni scorsi un avvocato - per ragioni per ora non conosciute - ha scaricato la pistola - detenuta regolarmente - sul cliente in studio. Si stava litigando. La morte è stata immediata. Non sono note, ad oggi, per quanto mi risulta, le ragioni del gesto.
Quando l´istruttoria arriverà alla comunicazione dei provvedimenti giudiziali sarà possibile conoscere le ragioni di questo omicidio anomalo. Sapremo se si tratta di diverbio sulle attività professionali svolte dall´uccisore, oppure di questioni di altra natura: familiari, economiche, oppure collegate ad altri aspetti per ora sconosciuti. Con l´istruttoria in corso, non paiono opportune ipotesi o supposizioni su una vicenda senza dubbio insolita e sconcertante.
Piercarlo Barale, pubblicato in Cuneo Cronaca 13 aprile 2017