Con l'ordinanza n. 16342/2018, la III sezione civile della Corte di Cassazione, pronunciandosi su un caso di responsabilità professionale, ha accolto la richiesta del legale che chiedeva, nonostante la colpa professionale, il pagamento del compenso per l'attività svolta, specificando che nell'ipotesi in cui un' azione giudiziale svolta nell'interesse del cliente non abbia potuto conseguire alcun risultato utile, anche a causa della negligenza o di omissioni del professionista, non è solo per questo ravvisabile un'automatica perdita del diritto al compenso da parte del professionista, ove non sia dimostrata la sussistenza di una condotta negligente causativa di un effettivo danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità fondata.
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende spunto dalla richiesta di risarcimento danni avanzata dagli eredi di un uomo, vittima di un incidente stradale, avverso l'avvocato che stava patrocinando la causa intentata per il relativo sinistro.
In particolare, gli attori deducevano che, a seguito del decesso del loro congiunto, l'avvocato non aveva provveduto a riassumere per tempo la causa, sicché il diritto da loro vantato iure hereditatis era da considerarsi definitivamente prescritto; in virtù di tanto, chiedevano che il legale fosse condannato al risarcimento dei danni nei loro confronti per la somma complessiva di Euro 52.000,00, pari alla misura di risarcimento richiesta nell'originaria domanda di risarcimento.
Costituendosi in giudizio, il difensore si difendeva sostenendo come non vi fossero gli estremi della responsabilità professionale e, agendo in riconvenzionale, chiedeva la condanna degli attori al pagamento del compenso maturato.
Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda degli eredi.
La decisione veniva ribaltata dalla Corte d'appello di Lecce, la quale evidenziava come il danno patito dagli attori per la negligenza professionale non fosse stato specificamente dedotto e provato; la sentenza di secondo grado, inoltre, condannava gli assistiti al pagamento degli onorari maturati dal legale per l'attività svolta.
Questi ultimi, ricorrendo in Cassazione, censuravano la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che non fosse stata fornita prova idonea del danno patrimoniale subito.
In secondo luogo deducevano l'illegittimità del compenso professionale riconosciuto al legale, sul presupposto che, avendo essi ricevuto un danno a causa della condotta negligente del professionista, non fossero tenuti a corrispondere alcun compenso professionale.
La Cassazione non condivide le doglianze dei ricorrenti.
Con specifico riferimento alla richiesta di risarcimento danni, la Corte ricorda come, per giurisprudenza consolidata l'accertamento della responsabilità presuppone che venga individuata non solo la condotta professionale che si assume essere stata negligente, ma anche il danno che ne è derivato come conseguenza della condotta: in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola del "più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa (Cass. 25112/2017).
Con specifico riferimento al caso di specie, i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare di aver subito siffatto danno, non essendo stato provato che la loro pretesa nei confronti dell'assicurazione sarebbe stata con tutta probabilità accolta, essendo l'originaria richiesta risarcitoria parametrata su una somma che fuoriusciva dal limite indicato nel massimale di polizza.
In relazione alla seconda questione attinente al pagamento dei compensi maturati dal legale, gli Ermellini ricordano che il rifiuto del cliente di corrispondere il compenso del professionista è legittimo quando l'errore professionale sia definitivo e fonte ultima del danno, cioè deve produrre la conseguenza di rendere – in concreto e non già semplicemente in astratto – del tutto inutile l'attività professionale pregressa: in tal caso, infatti, la prestazione professionale si deve ritenere totalmente inadempiuta, perché non ha prodotto alcun effetto a favore del cliente.
La prestazione di un legale si configura come un'obbligazione di mezzi, sicché è sempre a carico del cliente il compenso per l'opera svolta, indipendentemente dall'utilità che ne sia derivata, a meno che, per espressa deroga manifestata dai contraenti, si sia subordinato il diritto del professionista al compenso alla realizzazione di un determinato risultato (cosiddetta obbligazione di risultato).
Ne deriva che, nell'ipotesi in cui un' azione giudiziale svolta nell'interesse del cliente non abbia potuto conseguire alcun risultato utile, anche a causa della negligenza o di omissioni del professionista, non è solo per questo ravvisabile un'automatica perdita del diritto al compenso da parte del professionista, ove non sia dimostrata la sussistenza di una condotta negligente causativa di un effettivo danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità fondata.
Con specifico riferimento al caso di specie, per determinare se il rifiuto di pagare il compenso sia legittimo, occorre valutare se la pretesa avanzata originariamente dagli attori sarebbe stata con tutta probabilità accolta: essendo, di contro, emerso che la richiesta di risarcimento danni – collocandosi aldilà del limite indicato nel massimale di polizza – con tutta probabilità non sarebbe stata accolta, nessun effettivo danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità fondata, si è avuto.
In conclusione la Corte dichiara inammissibile il ricorso con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.