Con sentenza n.156 del 30 settembre 2022 il Consiglio Nazionale Forense ha affrontato la questione della rilevanza deontologica della condotta dell'avvocato che, partecipando ad una trasmissione televisiva in qualità di opinionista, commenti fatti di cronaca manifestando pubblicamente la propria avversione ad assumere la difesa di una persona che abbia fatto violenza su una donna.
Analizziamo i fatti del procedimento.
I fatti del procedimento disciplinare
L'Avvocato ricorrente ha partecipato come opinionista ad una trasmissione televisiva diffusa da un canale satellitare. Nel corso di tale trasmissione è stato chiesto all'Avvocato di esprimere una sua opinione su un fatto di cronaca locale, relativo all'avvenuta aggressione di una donna da parte di un cittadino indiano, arrestato in flagranza di reato e a carico del quale sono stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza solo con riferimento al reato di lesioni, ma non a quello di tentata violenza sessuale.
Su questo argomento l'Avvocato ha reso alcune affermazioni per le quali il CDD competente ha applicato nei suoi confronti la sanzione disciplinare della censura per violazione dell'art.57 CDF.
In particolare il CDD ha rilevato che la condotta dell'Avvocato si è concretizzata in un comportamento del professionista nella vita privata che si riflette negativamente sull'attività professionale, compromettendo l'immagine dell'avvocatura e la credibilità della categoria. Infatti le affermazioni contestate all'Avvocato sono state:
- l'aver riferito una serie di circostanze relative al cittadino indiano delle quali sarebbe venuto a conoscenza in precedenza essendosi a lui rivolti come legale i fratelli dello stesso, circostanze poi risultate non vere,
- l'essersi espresso nel senso di non voler accettare la difesa dell'incolpato poiché non intendeva difendere una persona che ha fatto violenza su una donna e che avrebbe potuto accettare solo se costretto a farlo in qualità di difensore d'ufficio e non dietro compenso da parte dell'imputato;
- l'aver esplicitato giudizi sul processo e sulle scelte difensive operate dal collega, difensore dell'imputato.
L'Avvocato ha impugnato la decisione dinanzi al CNF chiedendo il proscioglimento dagli addebiti per cui è stato sanzionato e l'applicazione del richiamo verbale, che non ha carattere di sanzione disciplinare, o, in subordine, della sanzione meno afflittiva dell'avvertimento.
La decisione del Consiglio Nazionale Forense
Nel merito il Consiglio ha ritenuto corretta la sussunzione del comportamento contestato nell'art.57 CDF, che al comma 1 dispone: «L'avvocato, fatte salve le esigenze di difesa della parte assistita, nei rapporti con gli organi di informazione e in ogni attività di comunicazione, non deve fornire notizie coperte dal segreto di indagine, spendere il nome dei propri clienti e assistiti, enfatizzare le proprie capacità professionali, sollecitare articoli o interviste e convocare conferenze stampa.»
Infatti a parere del Consiglio,
- sebbene l'art.57 cit. sia collocato nel titolo dedicato ai "Doveri dell'Avvocato nel processo", una condotta può risultare deontologicamente rilevante anche al di fuori del processo in quanto la tipizzazione delle norme deontologiche è solo "tendenziale", per cui il professionista può rendersi colpevole di violazioni sprovviste di sanzioni espresse;
- la condotta sanzionata si è concretizzata nell'enfatizzare le proprie capacità professionali, come ricavabile dalla narrazione di casi personali, veri o presunti che siano, e dalla evidente volontà di compiacere una qualche indeterminata cerchia di pubblico nel manifestare una sorta di obiezione di coscienza con riferimento ai reati che vedano quali vittime di violenza soggetti di sesso femminile;
- è particolarmente grave la posizione assunta dall'Avvocato che dichiari che non si può difendere una persona che ha fatto una violenza su una donna e che lo farebbe solo se ricevesse l'incarico d'ufficio, ma non dietro pagamento da parte del cliente.
In particolare sull'obiezione di coscienza il Consiglio ha affermato che
- un Avvocato è libero di accettare o rifiutare un incarico professionale, ma non può esprimere un giudizio anticipato di responsabilità nei confronti del cliente-indagato di particolari ipotesi delittuose, in quanto tale giudizio non è di sua competenza nell'ambito della propria attività professionale; laddove, tale attività ha proprio il compito di difendere il diritto ad un processo giusto, celebrato nel pieno rispetto del dettato normativo;
- tra l'altro il rinvio al concetto dell'obiezione di coscienza appare del tutto contrario e avulso dal ruolo dell'avvocato oltre che denigratorio nei confronti dei colleghi che accetterebbero l'incarico in quanto "obbligati" quali difensori d'ufficio a difendere soggetti deprecabili.
Infine il Consiglio ha ritenuto "incomprensibile il ragionamento dal punto di vista economico, posto che la difesa d'ufficio non è sovrapponibile al patrocinio a spese dello Stato e, peraltro, anche tale presidio non è affatto gratuito, bensì, retribuito con oneri a carico della collettività."
Conseguentemente il Consiglio ha ammonito ricordando
- che un Avvocato non deve dimenticare il proprio ruolo e la propria funzione anche sociale, facendosi portavoce di istanze populiste di stampo colpevoliste nell'ambito di trasmissioni televisive;
- e che presenziare ad una trasmissione televisiva in qualità di avvocato deve essere occasione per porsi come presidio di equilibrio e misura.
Nel caso di specie il Consiglio ha rilevato che tale equilibrio e misura non sono state in alcun modo fatte proprie dalle affermazioni dell'Avvocato ricorrente e pertanto ha rigettato il ricorso ed ha irrogato la sanzione della sospensione dell'esercizio della professione per mesi due.