Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 27897/17, tornano ad occuparsi della condotta dell´avvocato che promuova diverse azioni esecutive nei confronti del medesimo debitore, statuendo che siffatto modus operandi è un comportamento deontologicamente scorretto, con conseguente applicazione delle sanzioni previste dal Codice deontologico forense.
A venire in rilievo è il disposto dell´art. 66 del Codice deontologico, laddove prescrive che l´avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita.
Già con la sentenza n. 961/17, gli Ermellini avevano preso posizione sul punto, sanzionando l´attività professionale compiuta da due avvocati che, per conto di un solo creditore, avevano chiesto plurime ingiunzioni e attivato diverse procedure esecutive contro lo stesso debitore per crediti maturati in un ristretto arco temporale, così frazionando un credito che doveva valutarsi unitariamente.
Con la recente sentenza depositata lo scorso 23 novembre, le Sezioni Unite – sforzandosi di raccordare gli istituti previsti dal codice di rito con le scelte difensive, coordinando gli aspetti civilistici con quelli disciplinari – hanno confermato la sanzione disciplinare della sospensione per quattro mesi, irrogata nei confronti di un avvocato che, in violazione dell´articolo 66 del Codice deontologico forense, aveva promosso per i suoi assistiti ben 52 procedure esecutive presso terzi contro lo stesso debitore, con aggravio di spese legali in capo a quest´ultimo.
L´avvocato si è difeso sostenendo che la sua condotta era diretto adempimento di quanto pattuito nell´atto di transazione sottoscritto dallo stesso debitore e che, pertanto, la vicenda doveva avere solo un rilievo civilistico, senza valutazioni inerenti alla sfera deontologica. Difesa resa ancor più decisiva, a detta del legale, dalle disposizioni del codice di procedura civile (artt. 103 e 493) che prevedono la mera facoltà, per più creditori, di agire cumulativamente o esecutivamente nello stesso processo, senza mai imporre l´instaurazione di un unico giudizio.
I Supremi Giudici, tuttavia, non hanno avallato tali argomentazioni.
L´art. 66 del Codice deontologico è integrato quando la pluralità di onerose iniziative giudiziali aggravano la controparte e ciò non corrisponda ad effettive ragioni della parte assistita: non si sanziona, quindi, il ricorso, di per sé legittimo, a più procedure esecutive, ma solo l´irragionevole scelta di non unificarle. Scelta che è irragionevole qualora la proposizione di plurime azioni esecutive, con conseguente aggravio di spese legali, non corrisponde ad un´effettiva ragione di tutela della parte assistita o se l´esecuzione è azionata per le medesime o connesse ragioni di credito.
La scelta compiuta dall´avvocato, quindi, è stata irragionevole e deontologicamente scorretta: irragionevole perché, nel caso sottoposto all´attenzione della Corte, era emerso che il terzo pignorato non era debitore della società esecutata e, pertanto, nessuna effettiva ragione di tutela della parte assistita giustificava la proposizione di più azioni esecutive; deontologicamente scorretta perché la moltiplicazione delle procedure è condotta abusiva, anche alla luce di quanto insegna la stessa giurisprudenza sull´indebito frazionamento del credito.
La Cassazione rimarca, quindi, che – così come non è consentito, al creditore, frazionare il credito con diverse richieste giudiziali – analogamente non è consentito al difensore attivare plurimi interventi che ben potevano essere compendiati in unico atto e con un´unica liquidazione dei compensi, senza aggravare ingiustificatamente la posizione del debitore.
L´art. 66 del codice deontologico prescrive, in conclusione, una vera e propria regola deontologica di protezione, dettata in funzione della responsabilità sociale dell´avvocato, il quale – in virtù dei principi di correttezza e buona fede, nonché per gli inderogabili doveri di solidarietà ex art. 2 Cost. – deve porre rimedio agli effetti distorsivi ed abusivi del frazionamento del credito con il ricorso agli istituti processuali della riunione e della liquidazione delle spese, sempre se tale scelta non leda le effettive ragioni di tutela del proprio assistito.
Rosalia Ruggieri, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Bari, sede di Taranto, nell´anno 2010 e ha conseguito l´abilitazione alla professione forense nell´anno 2013. E´ iscritta all´Ordine degli Avvocati di Bari.