Con l'ordinanza n. 27306 dello scorso 30 novembre, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha cassato una sentenza che aveva liquidato solo 90 euro quale compenso professionale per una causa di opposizione ad una sanzione amministrativa dell'importo di 54,88 euro.
Dopo aver ribadito che la sentenza impugnata avrebbe dovuto determinare i compensi quantomeno nella misura del minimo legale in applicazione dei criteri tabellari previsti, avuto riguardo alle attività difensive espletate, gli Ermellini hanno specificato che "in tema di liquidazione delle spese giudiziali, il limite del valore della domanda, sancito dall'ultimo comma dell'art. 91 c.p.c., opera soltanto nelle controversie devolute alla giurisdizione equitativa del giudice di pace e non anche in quelle per le quali, pur se di competenza del giudice di pace e di valore non superiore ai millecento euro, è necessario un giudizio secondo diritto".
Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dell'opposizione formulata da una signora avverso un verbale di accertamento elevato nei suoi confronti per una violazione del codice della strada, con l'irrogazione di una sanzione pari ad euro 54,88.
Il Giudice di pace di Roma accoglieva l'opposizione e condannava la parte convenuta alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 90,00 complessivi, da distrarsi in favore del difensore antistatario.
Proponendo appello, la signora lamentava l'illegittimità della quantificazione delle spese giudiziali, in quanto liquidate in violazione delle tariffe professionali applicabili.
Il Tribunale di Roma rigettava il gravame, rilevando come l'importo delle spese giudiziali riconosciuto dal giudice di primo grado – sebbene ridotto del 50% - fosse congruo in relazione al valore della controversia.
Ricorrendo in Cassazione, la signora eccepiva violazione o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e della legge n. 247 del 2012, per non aver la sentenza d'appello ritenuto illegittima la liquidazione dei compensi professionali operata dal giudice di primo grado, ponendosi – con l'abbattimento del 50% - in violazione dei criteri tabellari "ratione temporis" vigenti.
La Cassazione condivide la doglianza della ricorrente.
In punto di diritto, la Corte ricorda che in tema di liquidazione delle spese giudiziali, il limite del valore della domanda, sancito dall'ultimo comma dell'art. 91 c.p.c., opera soltanto nelle controversie devolute alla giurisdizione equitativa del giudice di pace e non anche in quelle per le quali, pur se di competenza del giudice di pace e di valore non superiore ai millecento euro, è necessario un giudizio secondo diritto. Tra queste ultime vi rientra anche l' opposizione a ordinanza-ingiunzione o a verbale di accertamento di violazioni del codice della strada, ove è necessaria la presenza di una difesa tecnica che fa apparire ragionevole sul piano costituzionale l'esclusione del limite di liquidazione.
Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte rileva come la sentenza impugnata avrebbe dovuto applicare le tariffe forensi vigenti in relazione ai criteri tabellari ordinariamente previsti, senza tener conto del limite stabilito dall'ultimo comma dell'art. 91 c.p.c..
Conseguentemente, è da ritenersi illegittima la conferma della decurtazione dell'importo dovuto a titolo di spese giudiziali, così ponendosi al di sotto del limite legale fissato in euro 132,50.
In ragione di tanto, la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale monocratico di Roma, in persona di altro magistrato.