Con la decisione n. 15896 dello scorso 13 giugno, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rigettato il ricorso di un legale che eccepiva la prescrizione dell'azione disciplinare, fornendo importanti specificazioni su come la stessa vada valutata, soprattutto in relazione a quelle condotte verificatesi sotto la vigenza del vecchio codice deontologico.
Si è infatti rimarcato che nei casi in cui la contestazione dell'addebito sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina normativa, per regime giuridico della prescrizione non è applicabile lo jus superveniens, anche se più favorevole all'incolpato della professione forense; si applica, quindi, il termine quinquennale di prescrizione e, durante l'intero periodo di tempo intercorrente tra l'udienza ed il deposito della decisione del CNF, non è necessario alcun atto interruttivo della prescrizione, operando l'effetto permanente dovuto alla pendenza del giudizio.
Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Cagliari irrogava al legale la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per la durata di due mesi.
Il Consiglio Nazionale Forense, adito dall'Avvocato, ritenuta corretta la decisione impugnata in punto di sussistenza degli addebiti, decideva di applicare la sanzione della censura.
Avverso la decisione il difensore proponeva ricorso in Cassazione, eccependo la prescrizione dell'azione disciplinare ai sensi e per gli effetti del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56 comma 3, in quanto tra la data in cui si era tenuta l'udienza dibattimentale e la data in cui il ricorrente aveva avuto notizia del deposito della decisione, non era intervenuto alcun atto interruttivo.
Le Sezioni Unite non condividono le doglianze del ricorrente.
Gli Ermellini -premesso che l'eccezione di prescrizione dell'azione disciplinare è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, vieppiù se la sua soluzione non comporta indagini fattuali – ritengono che l'eccezione non è comunque fondata.
Anche dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, le Sezioni Unite (SU n. 9558/2018), hanno affermato che per i profili dell'ordinamento disciplinare che hanno la loro fonte nella disposizione legale e non nel codice deontologico (ovvero le ipotesi d'illecito e le sanzioni da essi rispettivamente contemplate), resta operante il criterio generale dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, quali, appunto, le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense.
Ne deriva che, con riferimento al regime giuridico della prescrizione, che è regolata da disposizione legale, non è applicabile lo jus superveniens, anche se più favorevole all'incolpato, quando, come nel caso di specie, la contestazione dell'addebito sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina normativa.
La disciplina antecedente, l'unica a trovare applicazione, contenuta nell'art. 51 del R.D. n. 1578 del 1933, prevede che l'azione azione disciplinare si prescrive in cinque anni, salvo siano intervenuti validi atti interruttivi della prescrizione.
Sul punto, è necessario operare una distinzione tra la fase amministrativa del procedimento disciplinare, svolta dinanzi al COA e la fase giurisdizionale davanti al Consiglio Nazionale Forense.
Nella prima fase, infatti, costituiscono validi atti di interruzione della prescrizione l'atto di apertura del procedimento e tutti gli atti procedimentali di natura propulsiva o probatoria (quali la consulenza tecnica d'ufficio, l'interrogatorio del professionista sottoposto a procedimento), di modo che, ai sensi dell'art. 2945 c.c., comma 1, dal momento dell'interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione; diversamente, nella seconda fase opera il principio dell'effetto interruttivo permanente di cui al combinato disposto dell'art. 2945 c.c., comma 2 e art. 2943 c.c., effetto che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell'impugnazione innanzi alle Sezioni Unite e del giudizio di rinvio fino al passaggio in giudicato della sentenza.
Alla luce di tanto, con specifico riferimento al caso di specie, le Sezioni Unire evidenziano come durante l'intero periodo di tempo, decorso tra l'udienza ed il deposito della decisione del CNF, non era necessario alcun atto interruttivo della prescrizione, operando, appunto, l'effetto permanente dovuto alla pendenza del giudizio.
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e conferma la sanzione irrogata.