Di Rosalia Ruggieri su Sabato, 12 Dicembre 2020
Categoria: Avvocatura, Ordini e Professioni

Avvocati, compenso: occorre valutare l’effettivo valore della causa e non quello dell’intervenuta transazione

Con l'ordinanza n. 27305 dello scorso 30 novembre, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un legale secondo il quale, nel determinare i compensi a lui dovuti per il patrocinio in talune cause civili, si doveva far riferimento all'effettivo valore della controversia dichiarato negli atti introduttivi e non all'importo individuato nell' intervenuto atto di transazione.

Si è difatti specificato che "ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell'avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito della transazione".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dalla domanda presentata da un legale, volta ad ottenere il compenso per l'attività svolta in alcuni giudizi civili a favore della propria assistita nei confronti del Comune di Roma, riguardanti la determinazione delle indennità di occupazione e di espropriazioni di immobili alla stessa spettanti.

Instaurato un giudizio con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., la cliente si costituiva in giudizio, resisteva al ricorso e deduceva di aver saldato il vantato credito professionale con il versamento della somma di euro 300.000,00, risultante da apposita quietanza prodotta agli atti, al termine di una intervenuta transazione con il Comune. 

Il legale disconosceva la sottoscrizione in calce alla quietanza, con dichiarazione resa in udienza.

La Corte di appello di Roma, ritenuto che lo scaglione da applicare ai fini della determinazione dei compensi era corrispondente al valore delle indennità spettanti e consensualmente quantificate dalle parti nell'atto di transazione, liquidava in favore del legale - in base alla tariffa professionale "ratione temporis" applicabile - l'importo di Euro 17.833,00 per onorari e di Euro 3.350,00 per diritti.

Il legale proponeva, quindi, ricorso in Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c., nonché del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, commi 2 e 4, evidenziando l'errore compiuto dalla Corte di appello nel determinare i compensi dovuti.

A tal fine il ricorrente rilevava come la pronuncia impugnata aveva erroneamente considerato, ai fini della determinazione del valore della causa presupposta, quello coincidente con l'importo individuato nell'atto di transazione, nel mentre avrebbe dovuto porre riferimento all'effettivo valore della controversia.

La Cassazione condivide le doglianze sollevate del ricorrente.

La Corte ricorda che ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell'avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito della transazione. 

Difatti, in tema di liquidazione degli onorari professionali a favore dell'avvocato, l'art. 6 della tariffa trova applicazione soltanto in riferimento alle cause per le quali si proceda alla determinazione presuntiva del valore in base a parametri legali, e non pure allorquando il valore della causa sia stato in concreto dichiarato, dovendosi utilizzare in tale situazione, il disposto dell'art. 10 c.p.c., senza necessità di motivare in ordine alla mancata adozione di un diverso criterio.

Con specifico riferimento al caso di specie, la pronuncia impugnata non ha fatto corretta applicazione di tali principi, posto che - a fronte del valore dichiarato nella domanda introduttiva pari a lire 110.000.000.000 - la Corte di appello non avrebbe potuto attribuire alla causa un diverso valore quale quello derivante dallo sviluppo del giudizio, e ciò anche in base alla prospettata transazione sopravvenuta.

Gli Ermellini specificano, quindi, come la Corte laziale – ai fini della determinazione del computo complessivo del compenso professionale da riconoscere al legale per le prestazioni giudiziali rese fino alla formalizzazione della transazione stessa – non avrebbe potuto prendere in considerazione il valore asseritamente ritenuto congruo dalle parti, così come scaturente dall'intervenuta transazione.

In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa l'ordinanza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

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